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YouTube come la RAI e GoogleNews come Televideo? Sembra un’ipotesi azzardata eppure non così remota. È la linea che sembra affermarsi in Italia con il “Decreto Romani” che, recependo la direttiva comunitaria sulla “Televisione senza frontiere”, considera il web come un mezzo radiotelevisivo. Anche se la Rete sembra rimanere libera e la web-cittadinanza attiva tutelata.
Web e Tv: una nuova direttiva europea.

Rispetto a Francia, Germania, Regno Unito e Spagna siamo un po’ in ritardo ma stiamo per allinearci all’Europa. Stiamo parlando del recepimento (che avrebbe dovuto concludersi lo scorso 19 dicembre) della direttiva europea 2007/65/CE, documento che integra e aggiorna “Televisione senza frontiere” (89/552/CE), la normativa sulla radiotelevisione. È infatti ancora in fase di revisione il “Decreto Romani”, documento di attuazione in chiave tutta nazionale approvato il 4 febbraio 2010 con 31 condizioni e richieste di modifica.
Come indicato da Bruxelles, il “Decreto Romani” modifica il Testo unico della radiotelevisione (decreto n. 177/2005). Prima dell’ultima revisione, il documento ha fatto scalpore per le specifiche sul web, la cui libertà sembrava venir messa a repentaglio. Ma come?
Internet come media audiovisivo
La grande novità del “Decreto Romani” è che internet viene considerato un “servizio di media audiovisivi e radiofonici”. Ovvero, le leggi che oggi regolano Mediaset saranno le stesse che dovrà rispettare YouTube: la prima e il secondo saranno – in egual maniera – responsabili dei contenuti che “manderanno in onda”. E benché sul web siano presenti grandi gruppi dai profitti milionari, per molti internet resta di “proprietà” esclusiva degli internauti che lo animano. Ecco dunque le paure: che ne sarà della possibilità di caricare video di famiglia? O di segnalare abusi e ingiustizie? O di aggregare gli animi per far sentire la propria voce sul web?
Libertà della Rete: allarme rientrato?
L’allarme – oggi rientrato – è stato lanciato a fine 2009 dal popolo del web per capire perché la normativa italiana si discostava, curiosamente, da quella europea. Nella sua versione originale, infatti, il Decreto esclude dal controllo solo “i servizi, anche veicolati mediante siti internet […], nei quali il contenuto audiovisivo non abbia carattere meramente incidentale”. Una dicitura generica, diversa da quella suggerita dalla Commissione europea.
Oggi sono state accolte delle modifiche sostanziali, al punto che il relatore del Decreto – Alessio Butti – ha evidenziato come “i blog di video amatoriali, i giornali online, i motori di ricerca […] non sono disciplinati dalla nuova normativa, sono liberi”. Ad essere esclusi dai controlli, sarebbero infatti tutti i ”servizi prestati nell’esercizio di attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti Internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse, nonché ogni forma di corrispondenza privata, come i messaggi di posta elettronica inviati a un numero limitato di destinatari”. E ancora, non rientrerebbero “altresì nella definizione di ‘servizio di media audiovisivo’ i servizi la cui finalità principale non è la fornitura di programmi, vale a dire i servizi nei quali il contenuto audiovisivo è meramente incidentale e non ne costituisce la finalità principale, quali, a titolo esemplificativo, i siti internet che contengono elementi audiovisivi puramente accessori, come elementi grafici animati, brevi spot pubblicitari” (“Decreto Romani”).
La differenza con l’Europa
A questo punto, resta da capire quale sarà l’impatto del rimanente, sottile discostamento dalla normativa europea. Bruxelles, infatti, specifica che la direttiva “non dovrebbe comprendere le versioni elettroniche di quotidiani e riviste”. E aggiunge che “il termine ‘audiovisivo’ dovrebbe riferirsi a immagini in movimento, siano esse sonore o meno, includendo pertanto i film muti, ma non le trasmissioni audio né i servizi radiofonici”.
Responsabilità dei contenuti: e domani?
Dopo la riunione del 4 febbraio, molti giornali hanno titolato che la libertà della rete era salva. Tuttavia, l’applicazione della direttiva europea ha aperto un dibattito: è giusto monitorare i contenuti della Rete? E, se si, chi ne è responsabile? L’Europa sottolinea che “la definizione di fornitore di servizi di media dovrebbe escludere le persone fisiche o giuridiche che si occupano solo della trasmissione di programmi per i quali la responsabilità editoriale incombe a terzi”. Una differenza parziale ma significativa rispetto al “Decreto Romani”, che rende direttamente responsabili tutti i fornitori di servizi media audiovisivi, imponendo di astenersi “dal trasmettere o ritrasmettere, o mettere comunque a disposizione degli utenti, su qualsiasi piattaforma e qualunque sia la tipologia di servizio offerto, programmi oggetto di diritti di proprietà intellettuale di terzi o parti di tali programmi, senza il consenso di titolari dei diritti e salve le disposizioni in materia di brevi estratti di cronaca”. Tuttavia nuovi scenari si apriranno a breve, il 24 febbraio, con l’imminente sentenza del processo Google-Vividown. Il colosso del web è infatti accusato di concorso in diffamazione e violazione della privacy per aver pubblicato, nel 2006, il video di un disabile maltrattato da alcuni coetanei (poi rimosso).
User generated content: sempre più “autori” sul web
Se il futuro normativo è incerto, è invece prevedibile il continuo trend di crescita degli internauti, che sul web si aggregano e producono contenuti. I dati Nielsen 2009 registrano un costante aumento di utenti internet che visitano siti di “comunità online” (+10 punti rispetto allo scorso anno). E nel Belpaese è sempre più elevato il numero di iscritti alle reti sociali, con 10 milioni di utenti registrati a Facebook (il 45% dei connessi alla rete), con una crescita trainata da utenti di età 46-55 (+16% ogni mese) e dagli ultra 56enni (+18% ogni mese).
Ma perché il web dovrebbe intimorire i pochi che vorrebbero mantenere il controllo dei flussi informativi? Perché le opinioni degli internauti contano, e sempre di più! Sempre Nielsen – in un’indagine condotta su oltre 25mila consumatori di 50 Paesi del mondo – evidenzia come i consigli personali e le opinioni pubblicate su internet dai consumatori sono le forme di advertising ritenute più affidabili. Ovvero, è più credibile un consumatore che recensisce un hotel alle Bahamas su Tripadvisor che non una pubblicità da parte dell’ente del turismo locale.
La cittadinanza attiva che viaggia in Rete
Inutile dire che se i cittadini sono i “consumatori” dei servizi dello Stato, le loro recensioni sul web diventano un potentissimo strumento di opinione. Impegnarsi attivamente, informarsi, formarsi. E poi aggregare, divulgare, mobilitare. Sono le azioni che il cittadino attivo può intraprendere sul web e che, in quanto strumenti di libertà e di impegno civico, desidera vedere preservate. E il primo impegno civico da attuare è crescere cittadini sempre più consapevoli di cos’è il web, come funziona e chi lo controlla.
Il futuro, educare i giovani
Essere liberi e autoregolamentarsi, ed educare i giovani a utilizzare un mezzo potentissimo in maniera sana: sono questi i suggerimenti per il web-cittadino attivo che voglia continuare a costruire. Proprio come suggerito dall’Unione europea che, nella direttiva, fa un chiaro invito all’alfabetizzazione mediatica: formare gli insegnanti e istituire “un insegnamento specifico di Internet destinato ai minori fin dalla più giovane età”; aprire i corsi ai genitori e organizzare “campagne nazionali destinate ai cittadini, mediante tutti i mezzi di comunicazione”. Con l’obiettivo di “fornire informazioni su un uso responsabile di Internet”. Perché per tutelare le proprie libertà – e quelle degli altri – bisogna prima conoscerle.
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Labsus