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Il presente contributo trae spunto dalla recente adozione del regolamento comunitario 1370/2007 del 23 Ottobre 2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia[1], destinato a modificare l’assetto della disciplina dei trasporti pubblici locali[//]. Pur senza dedicare specifica attenzione ai trasporti pubblici locali non di linea[2], prende tuttavia posizione in merito alla opzione tra liberalizzazione e regolazione del TPL di linea[3]. E sceglie un modello di concorrenza regolata o, meglio, competizione per il (e, dunque, non nel) mercato.
Le spinte verso la liberalizzazione del TPL, per quanto non destinate direttamente al settore dei taxi[4], suggeriscono di svolgere una riflessione di ordine gius-economico sulla necessità e sugli effetti che l’eventuale deregulation del sistema normativo vigente potrebbero comportare in un settore di rilevante importanza economica e sociale come quello dei taxi. In altre parole: è la deregulation ciò di cui i taxi (ed i consumatori) hanno davvero bisogno in Italia?
In Italia, il «servizio di taxi con autovettura» è disciplinato dalla legge 15 gennaio 1992, n. 21 e rientra nei cd. «autoservizi pubblici non di linea»[5]. L’accesso al mercato è regolato in maniera alquanto stringente. Il diritto di prestare il servizio di taxi è soggetto a un regime autorizzatorio e a programmazione numerica stabilita localmente: la prestazione del servizio taxi è consentita dietro rilascio della licenza da parte delle amministrazioni comunali attraverso un bando di pubblico concorso. La licenza è necessariamente riferita ad un singolo veicolo adibito a taxi. Non è infatti ammesso, in capo ad un medesimo soggetto, il cumulo di più licenze per l’esercizio del servizio.Anche il corrispettivo per il servizio è soggetto a regolazione. La tariffa viene stabilita localmente in base ai parametri normativi stabiliti dalle leggi nazionale e regionale, nonché in base al regolamento comunale. Le competenze in materia di regolazione del servizio di taxi sono suddivise tra Regione e Comune. I Comuni, in particolare, sono competenti a stabilire il numero e la tipologia dei veicoli, i requisiti e le condizioni per il rilascio della licenza, le modalità di svolgimento del servizio, nonché i criteri per la determinazione delle tariffe.
La descrizione delle esperienze straniere di regolamentazione del servizio di taxi può contribuire a chiarire la direzione in cui si muovono altri ordinamenti nella regolamentazione e l’impatto che le scelte di de-regolamentazione totale ha avuto in alcuni dei Paesi che hanno sperimentato questa soluzione[6]. Il settore dei taxi in Europa è considerato parte integrante del trasporto pubblico locale (TPL). Gli obiettivi comuni delle diverse regolamentazioni del servizio sono il supporto alla mobilità della popolazione, la riduzione del ricorso all’uso dei mezzi privati nelle aree metropolitane e la soddisfazione di una domanda differenziata per esigenze e per fasce orarie e stagionali. Tali obiettivi vengono perseguiti nei vari paesi mediante strutture regolamentari diversamente articolate e con strumenti differenti. Sotto il profilo della organizzazione regolamentare, si possono distinguere tre gruppi di Paesi.
Alcuni Paesi, come la Svezia, hanno adottato un regime concorrenziale totalmente deregolamentato, mentre l’Olanda ha mantenuto il controllo dei massimali tariffari e l’Irlanda ha liberalizzato solo l’offerta di mercato (il numero di taxi). Altri Paesi, come Regno Unito, Belgio (regione delle Fiandre) e Danimarca, continuano a preferire un regime regolamentato più o meno flessibile. Infine, una terzo gruppo di Paesi – come avviene in Italia, in Germania, in Belgio (regione di Bruxelles) e in Francia – è più incline a disciplinare il settore con regolazioni stringenti (tariffe massimali o fisse, numero chiuso, turni e zone imposti).
Tuttavia, sotto un profilo più dinamico, l’osservazione dell’evoluzione della regolazione del settore taxi in alcuni Paesi, anche non europei, parallelamente a quella dei rispettivi mercati fornisce maggiori informazioni in merito all’opportunità delle diverse scelte e ai vari effetti delle relative politiche. Ebbene, secondo le ricerche condotte sui principali interventi internazionali di deregolamentazione, quest’ultima non ha dato luogo a risultati univoci. In particolare, secondo l’Agenzia per il controllo della qualità dei servizi pubblici locali del Comune di Roma,con riferimento alle deregolamentazioni più estese avvenute in Svezia, Nuova Zelanda e tre città nordamericane (Phoenix, San Diego e Seattle), «gli unici risultati comuni ed univoci di queste esperienze sono il forte aumento dell’offerta, l’elevato turnover e la riduzione del grado di concentrazione del mercato; tali risultati dipendono in gran parte dalla massiccia entrata sul mercato di tassisti indipendenti (un taxi– un conducente). Le condizioni dei tassisti risultano comunque deteriorate, per riduzione del reddito (Svezia e città USA) e/o per incremento delle ore di lavoro (Svezia e Nuova Zelanda). Per il resto, si osserva che mentre a Phoenix, San Diego e Seattle i prezzi sono stabilmente aumentati, in Svezia sono aumentati per poi diminuire (dopo qualche anno) ed in Nuova Zelanda sono diminuiti nelle grandi città, ma aumentati nelle piccole aree. I tempi di attesa sono diminuiti solo in Nuova Zelanda, mentre lo sviluppo di servizi innovativi si è avuto in Nuova Zelanda ed in Svezia, ma non nelle tre città USA. Nel complesso, la qualità del servizio risulta peggiorata o non migliorata».
Con riferimento alle esperienze più moderate, e cioè a quelle di New York e Adelaide, pure con alcune differenze di impostazione regolamentare[7], si è riscontrato che «il numero di taxi è rimasto praticamente invariato, ma a New York ha avuto una forte espansione la locazione della vettura ad altri conducenti, dando luogo anche all’affermazione di società di gestione delle vetture taxi su più turni; in Adelaide, invece, c’è stato un incremento esplosivo dei servizi non di linea alternativi a quello dei taxi propriamente detti. Nonostante le tariffe taxi amministrate siano in entrambi i casi cresciute stabilmente, in linea con l’inflazione locale, le condizioni di reddito dei tassisti sono variate diversamente per le due città: a New York sono migliorate, mentre in Adelaide, sotto la pressione concorrenziale dei servizi alternativi, sono nettamente peggiorate. A New York, tuttavia, si rileva un peggioramento della qualità del servizio ed un aumento dei tempi di attesa, che risultano invece leggermente diminuiti ad Adelaide».
Da ultimo, in Giappone ed in Corea[8], il risultato della de-regolamentazione è stato un incremento dell’offerta e di nuovi servizi. Si sono, tuttavia, registrati effetti negativi in quanto «i prezzi sono aumentati, anche se diversamente in base alle zone; nonostante gli aumenti tariffari sono aumentate anche le ore di lavoro, indice della presenza di domanda inevasa ed in forte espansione. Continuano a prevalere le grandi compagnie, favorite dall’esistenza di requisiti minimi per ottenere l’autorizzazione ad esercitare il servizio, che comprendono anche la disponibilità di più vetture. La qualità del servizio ed i tempi di attesa sembrano rimasti invariati».
In definitiva, l’analisi degli effetti delle esperienze di de-regolamentazione non è affatto univoca e dimostra in particolare che caratteristica comune a quasi tutte le esperienze di de-regolamentazione è l’affermazione di società di gestione delle vetture taxi su più turni che ha determinato un forte incremento del grado di concentrazione del mercato nelle mani di pochi operatori oligopolistici; inoltre, nelle esperienze di de-regolamentazione più estesa le condizioni dei tassisti sono deteriorate per riduzione del reddito e/o per incremento delle ore lavoro, con un diffuso peggioramento della qualità del servizio, senza che a questi fenomeni si siano accompagnati effetti univoca di riduzione della tariffe; nei casi in cui si è optato per una de-regolamentazione più soft, laddove si è proceduto alla eliminazione del contingentamento (ad es. in Giappone e Corea), si è registrato il forte aumento dei prezzi, nonché un deterioramento della condizione dei tassisti, senza che ciò abbia provocato un miglioramento della qualità e della sicurezza del servizio[9]; infine, nei casi in cui si è puntato sulla introduzione di un sistema di gestione imprenditoriale del servizio di taxi (ad es. a New York e ad Adelaide), si è determinato un mero cambiamento della struttura del mercato con graduale trasformazione della condizione degli operatori da imprenditori individuali a dipendenti e successivamente a meri affittuari, senza che ciò abbia contribuito a determinare una riduzione delle tariffe, e con inequivoci effetti di deterioramento della qualità e della sicurezza del servizio, nonché delle condizioni di vita degli operatori[10].
Il vero problema è dunque un altro: quale regulation? L’analisi economica[11] ha ormai assodato che la regolamentazione pubblica è necessaria in considerazione delle «anomalie o “difetti”» di siffatto mercato[12]. Le anomalie del mercato dei taxi sono rappresentate dalla «presenza di esternalità negative di consumo, le asimmetrie informative, i costi di ricerca, la capacità inutilizzata». Connessi alla natura spaziale dell’industria e alla relazione casuale tra domanda ed offerta, Tali fattori impediscono che in questo mercato possa realizzarsi «un equilibrio concorrenziale soddisfacente (e tantomeno ottimale) in regime di laissez faire»[13].
Al contrario la creazione di “property rights” attraverso il sistema delle licenze di taxi produce diversi effetti positivi. In primo luogo, essi internalizzano le esternalità negative derivanti dalla congestione e dell’inquinamento. In secondo luogo, essi comportano costi più bassi di enforcement: infatti, solo il titolare del diritto di proprietà deve essere monitorato; e i diritti fungono da legame che garantisce l’adempimento corretto del servizio: una violazione della regolazione o del contratto può condurre alla espropriazione del diritto. Infine, essi prevengono una “competizione rovinosa” per il reddito dei titolari e per le condizioni di sicurezza dei tassisti e dei clienti[14]. D’altro canto, anche la regolamentazione ha prodotto risultati insoddisfacenti. Tuttavia, la soluzione ai fallimenti dell’intervento pubblico non è dai più rinvenuta nella liberalizzazione selvaggia del settore. Si propone invece di migliorare la qualità dell’intervento pubblico per minimizzare le inefficienze connaturate al mercato dei taxi.
Ora, qualsiasi intervento teso a migliorare la regolamentazione pubblica del settore deve prendere in considerazione il contesto economico del singolo Paese e dunque dalle caratteristiche del relativo mercato. In Italia il sistema economico si fonda prevalentemente sulla piccola e media impresa ed il mercato dei taxi non sfugge a tale caratterizzazione. Attualmente, la regolazione del mercato, improntata a una gestione professionale (o, meglio ancora, artigianale) del servizio con un penetrante controllo sull’accesso al mercato e un regime amministrato della tariffa e della attività (con la previsione a livello locale di un regime di turnazione obbligatoria), consente a queste imprese di sopravvivere e di rendere all’utente un servizio adeguato e professionale a costi non distanti dalla media degli altri Paesi europei.
Nel caso specifico del servizio taxi in Italia, la “de-regulation selvaggia”, e cioè la liberalizzazione totale del settore ovvero l’incisione sulla struttura del mercato attraverso l’apertura a società di gestione delle vetture di taxi su più turni può condurre ad una situazione pregiudizievole proprio per l’iniziativa privata che si intenderebbe favorire. Ciò dipende infatti dalla natura del servizio. Il servizio di taxi, come qualsiasi altra attività economica, intanto riesce ad essere remunerativo in quanto vi sia possibilità di un utile economico. Ora, la gestione imprenditoriale del servizio di taxi per essere veramente efficiente e fornire un utile agli operatori, è destinata a determinare una concentrazione delle licenze in capo a imprese oligopolistiche o monopolistiche. Il ciclo economico dei mercati de-regolamentati dimostra che nel lungo periodo le imprese di grandi dimensioni, pur se oligopolistiche o monopolistiche, non reggono i costi del servizio che costringono le imprese ad orientarsi gradualmente verso soluzioni finanziarie. Tali soluzioni introducono inevitabilmente nuovi soggetti e dunque nuove rendite da soddisfare, con conseguente aumento dei prezzi[15]. Del resto, l’analisi delle esperienze straniere di de-regolamentazione ha dimostrato che esistono importanti controindicazioni alla liberalizzazione dell’accesso e alla apertura del mercato a soggetti imprenditoriali di grandi dimensioni.
Nel 2006 il Governo ha tentato di avviare una iniziativa di mera liberalizzazione del trasporto pubblico non di linea. Ma di fronte all’oggettiva e comprovata impossibilità di risolvere tutte le disfunzioni del servizio con una semplice misura di liberalizzazione ha adottato una soluzione di regolazione tendente a garantire maggiore efficienza al servizio senza pregiudicare altri interessi come la riduzione della congestione, la protezione dall’inquinamento, la sicurezza del TPL non di linea, le condizioni di redittività e, conseguentemente, sostenibilità sociale del servizio di taxi.
La soluzione finale adottata è scaturita dal ragionevole compromesso raggiunto tra le diverse e talora contrapposte esigenze di utenti, operatori, nonché delle autorità responsabili della regolazione che la disciplina di attività così nevralgiche per lo sviluppo urbano fa emergere anche in maniera impetuosa. Invero, la proposta di liberalizzazione inizialmente avanzata dal Governo è apparsa ai più come una misura eccessivamente penalizzante nei confronti di una delle categorie che per prima subisce le ricadute di eventuali disfunzioni nella governance dell’ambiente e della mobilità urbani. Infatti, gli operatori del servizio di taxi risentono in via immediata di eventuali disfunzioni provocate da politiche urbane inadeguate (in materia di trasporti, infrastrutture, urbanistica e tutela ambientale). Essi ne risentono in termini di minore velocità commerciale del network sul quale operano (cioè, la rete stradale urbana) o di incompleta copertura del territorio e, conseguentemente, di minore qualità ed efficienza del servizio.
Ora, in ogni ordinamento gli utenti di servizi di trasporto pubblico sono inclini ad addebitare eventuali inefficienze o diseconomie del trasporto non di linea direttamente agli operatori. La ragione probabilmente risiede nella natura privatisitica dei soggetti esercenti il servizio pubblico di taxi e nel timore che questi sfruttino una rendita di posizione derivante dal contingentamento delle licenza. Al contrario, il contingentamento rappresenta la misura che rende economicamente sostenibile l’esercizio del servizio di taxi e nell’imputazione dei disservizi occorre tenere nel debito conto le responsabilità degli operatori pubblici del trasporto di linea ma soprattutto delle autorità pubbliche responsabili della regolazione del trasporto urbano. E questo perché nella maggior parte dei casi le inefficienze del trasporto pubblico non di linea sono determinate da cause esogene rispetto alle modalità di erogazione del medesimo servizio. Per questi motivi, gli operatori del trasporto pubblico non di linea vivono una situazione di maggiore conflittualità con il cd. cittadino-consumatore, situazione su cui è agevole creare consenso politico.
Nella sua versione definitiva, l’articolo 6. della legge 4 agosto 2006, n. 248 (di conversione del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223) contenente disposizioni concernenti «Interventi per il potenziamento del servizio di taxi», sembra affrontare il problema nella sua complessità e darsi carico di ognuno degli aspetti citati. Essa mette a disposizione dei Comuni una architettura regolatoria molto composita strutturata su diversi pilastri che corrispondono a diverse possibili soluzioni. Tutte devono essere considerate e poi calibrate con equilibrio per contemperare le diverse esigenze.
In conclusione, una regolazione che migliori l’efficienza del servizio, senza pregiudicare gli interessi della categoria, è possibile e potrà essere attuata mediante una agevole revisione dei regolamenti comunali che disciplinano il servizio di taxi in attuazione della riforma Bersani. Ma l’opera di implementazione delle misure messe a disposizione dalla riforma deve essere coerente con le premesse della medesima, e cioè che la mera liberalizzazione non rappresenta la soluzione del problema. In prospettiva, l’opera di riforma legislativa va completata e le linee della possibile ri-regolamentazione del servizio di taxi dovrebbero muoversi alcune direttrici fondamentali.
Primo, l’introduzione di un sistema di governance dinamica della erogazione del servizio sul territorio mediante la istituzione a livello locale di un organismo regolatore paritetico di raccordo fra i diversi portatori di interessi coinvolti (enti locali, categoria, utenza) dotato di poteri deliberativi e non meramente consultivi. Tale organismo avrebbe, anzitutto, il compito di regolare costantemente il livello dell’offerta adeguandolo alla domanda effettiva e, dunque, di disciplinare il regime di turnazione. Esso dovrebbe inoltre avere il potere di stabilire le ipotesi in cui si deve procedere alla integrazione dei turni per soddisfare eventuali surplus di domanda, in corrispondenza di eventi più o meno prevedibili, e di prendere tutti i provvedimenti a tal fine occorrenti (es. dalla individuazione dei criteri di rotazione nella chiamata di taxi aggiuntivi, alla adozione delle misure idonee a favorire l’efficienza del servizio nelle circostanze di surplus della domanda).
Secondo, l’individuazione di parametri non discrezionali ma oggettivi – tarati sul livello effettivo della domanda eventualmente accertato mediante tecniche di indagine scientificamente valide per saggiare la customer satisfaction – per procedere all’incremento del numero di licenze e, dunque, di autovetture adibite al servizio di taxi in presenza di una condizione stabile di insufficienza dell’offerta rispetto alla domanda.
Terzo, l’inquadramento della regolazione dei taxi nell’ambito di una regolazione della mobilità urbana e, dunque, del network stradale urbano e di tutte le fonti di congestionamento del medesimo. L’uso del network urbano rappresenta un esempio classico di tragedy of the commons: le strade urbane rappresentano una risorsa comune o common – che in termini economici è un concetto diverso da quello di bene pubblico[16] -, e si caratterizzano per essere non escludibili e rivali nel consumo[17]. Queste caratteristiche della risorsa comune conducono alla sovra-utilizzazione e conseguentemente alla consumazione del bene. Bisogna, dunque, imporre un prezzo o allocare i diritti di uso di una risorsa comune per segnalare le esternalità negative derivanti dalla sovrautilizzazione e dal consumo. La conseguente decongestione del network determina un incremento della velocità commerciale[18] e, quindi, una maggiore efficienza dei servizi di trasporto pubblico di linea e non.
Quarto, l’abbandono di pulsioni centralistiche in favore di una regolazione decentrata: il ruolo del giudice e delle Regioni: la più recente giurisprudenza della Corte costituzionale ha sostanzialmente espropriato la competenza in materia di TPL inizialmente attribuita alla potestà legislativa residuale delle Regioni (vd. la sentenza 222 del 2005). Ma le regioni devono agire come “laboratori” per sperimentare soluzioni regolatorie differenti[19].
Quinto, il coordinamento delle politiche sulla viabilità e il traffico con le politiche del trasporto pubblico non di linea sui cui le prime possono incidere positivamente attraverso una serie di accorgimenti volti ad aumentare la cd. velocità commerciale dei taxi e dunque la reperibilità dei medesimi e la copertura adeguata della domanda (es. corsie preferenziali con piazzole per il sorpasso dei veicoli più lenti, semafori intelligenti, ecc.).
Sesto, l’adozione di strumenti di regolazione della mobilità privata mediante strumenti economici (economic incentive schemes) per allocare diritti trasferibili di mobilità individuale privata (in maniera non dissimile dal sistema delle licenze di taxi) oppure imporre un prezzo sull’uso del network stradale urbano (come nei vari schemi di congestion pricing).
Settimo, l’introduzione di altri strumenti di decongestione dalla mobilità privata (come il carpooling, car-sharing e trasporto a domanda [DRTS] per gli spostamenti urbani delle persone) e i servizi innovativi di trasporto (come il taxi collettivo).
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[1] In GUCE 3 dicembre 2007 L 315 Volume 50.
[2] Sul piano dell’ambito di applicazione della riforma, il fuoco della regolamentazione è rappresentato dal «trasporto pubblico di passeggeri» che comprende tutti «i servizi di trasporto di interesse economico generale organizzati dall’autorità competente ed offerti al pubblico senza discriminazione e in maniera continuativa» (art. 2, lett. a).
[3] La Corte costituzionale ha definitivamente chiarito che si tratta di un comparto unitario. Vd. la sentenza 452 del 2007. La giurisprudenza amministrativa aveva già da tempo chiarito che si tratta di un servizio pubblico. Vd.
[4] Anche se il regolamento non specifica se si occupa di servizi di trasporto pubblico di linea o meno, non è così scontato che il nuovo regolamento comunitario non si applichi anche al settore dei taxi[4]. In linea teorica, pertanto, la disciplina ivi dettata potrebbe trovare applicazione anche ai servizi di trasporto pubblico non di linea.
[5] Si tratta cioè quei servizi che «provvedono al trasporto collettivo od individuale di persone, con funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea ferroviari, automobilistici, marittimi, lacuali ed aerei, e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta»
[6] In questa sede si utilizzano i dati emersi dalle ricerche pubblicate in V. Visco Comandini, F. Violati, S. Gori, Le licenze dei taxi: abolizione, regolazione o libero scambio di diritti?, in Mercato concorrenza regole, 2004, 3, 515; e in Agenzia per il controllo della qualità dei servizi pubblici locali del Comune di Roma, Il settore taxi a Roma. Ipotesi di riforma, Roma, 2004.
[7] Infatti, «mentre la città di New York ha optato per modesti interventi di ampliamento discrezionale dell’offerta accompagnati dalla legalizzazione del noleggio del taxi ad altri conducenti oltre il proprio turno di lavoro, in Adelaide si è scelto di aumentare la concorrenza nei servizi di trasporto pubblico locale non di linea liberalizzando i servizi di vetture a noleggio con e senza conducente; per il resto le due città hanno mantenuto un contesto generale regolamentato».
[8] In questi Paesi «nel corso degli anni Novanta sono state realizzate ampie riforme della regolazione dei servizi che hanno alleggerito gli stretti vincoli e le forti barriere all’entrata che caratterizzavano i mercati dei taxi, mantenendone tuttavia il controllo. È stata, inoltre, razionalizzata la divisione in aree operative e tariffarie, mirando ad un allargamento degli ambiti operativi e ad una riduzione del numero delle zone».
[9] Vd. D. Flath, Taxicab Regulation in Japan, in Columbia Business School Working Paper201, 2002.
[10]Cfr. B. Schaller, Elasticities for Taxicab Fares and Service Availability, in Transportation, 1999, 26(3), 283-297; Id., The New York City Taxicab Fact Book, 2004; nonchè M. Markowitz, Taxis, in Gotham Gazette, 12 gennaio 2004.
[11] Per un esauriente illustrazione delle conclusioni cui è giunta la letteratura economica internazione si rinvia a a.t. moore ,t. balaker, Do Economists Reach a Conclusion on Taxi Deregulation?, in Econ Journal Watch, gennaio 2006, volume 3, n. 1, pp 109-132.
[12] A. Boitani, A. Bergantino, op. cit., ibidem.
[13] A. Boitani, A. Bergantino, op. cit., ibidem.
[14] In favore del mantenimento di una barriera all’ingresso del mercato dei taxi si sono espressi diversi economisti. Vd. C. Shreiber, The Economic Reasons for Price and Entry Regulation of Taxicabs, in J. Transport Econ. & Pol’y, 1975, 9(3), 268; Id., A Rejoinder, in J. Transport Econ. & Pol’y, 1977, 298; Id., The Economic Reasons For Price and Entry Regulation of Taxicabs: A Rejoinder, in J. Transport Econ. & Pol’y, 1980, 81; B. Schaller, Entry Controls in Taxi Regulation: Regulatory Policy Implications of U.S. and Canadian Experience (Sept. 2006), 3; P.S. Dempsey, Taxi Industry Regulation, Deregulation & Reregulation: The Paradox of Market Failure, in Transp. L.J., 1996, p. 116; G. Gilbert, R.E. Samuels, The Taxicab: An Urban Transportation Survivor, 1982, p. 155, 167.
[15] L’esempio più immediato è New York, dove un terzo dei tassisti è ancora imprenditore individuale, un terzo è lavoratore dipendente di grandi compagnie che posseggono flotte di taxi e un terzo (ma con una tendenza sempre crescente) dei tassisti è lessee, cioè mero affittuario della vettura, senza dunque l’autonomia tipica dell’imprenditore individuale, né le garanzie tipiche del lavoratore dipendente.
[16] Un bene pubblico è non escludibile (chi produce il bene pubblico non può impedire a chi non paga di consumarli) e non rivale nel consumo (la stessa unità del bene può essere consumata da più di una persona contemporaneamente). Le risorse comuni, invece, sono rivali nel consumo.
[17] Tradizionalmente risorse comuni sono state considerati l’acqua e l’aria pulite, il pesce che si può pescare in una certa zona e, appunto, le strade. Si tratta di beni non escludibili per i quali cioè risulta molto difficile impedire a chi non paga di consumarli e, dunque, normalmente non se ne limita l’utilizzo imponendo un prezzo. Nel contempo si tratta di beni rivali nel consumo, e quindi chi ne consuma un’unità la rende inutilizzabile per tutti gli altri.
[18] A Roma la velocità commerciale è di 13 km/h contro i 23 km/h della media europea.
[19] Di recente negli Stati Uniti questo argomento a favore del “federalismo economico” e della sperimentazione territoriale avanzato per la prima negli anni 30 in una famosa dissenting opinion del giudice Brandeis è tornato in voga a seguito delle iniziative di riforma in materia ambientale adottate dalla California in contrasto con il governo federale.