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Molte volte ho provato a farlo, eppure ancora non riesco proprio a ricordare il giorno in cui ho deciso quale percorso di studi universitari avrei intrapreso dopo la maturità. Spesso tento di ritornare a quel giorno, per immaginare se avrei potuto fare scelte diverse, prendere strade alternative, ma ogni volta questo ricordo mi continua a sfuggire. Forse è perché non ho mai scelto veramente.
Ciò però che ricordo benissimo è quale sensazione ho provato quando è stato il momento di progettare cosa avrei voluto fare da grande: inadeguatezza. Quali possibilità sono alla mia portata? E che aspettative posso realmente avere se faccio determinate scelte? Meglio seguire un talento o essere più pragmatici (sono poi due cose alternative)? Quali sono i lavori di oggi? E quelli di domani? Che persona vorrò essere tra cinque anni?
Ho posto queste domande ma ho incontrato parecchie difficoltà a trovare qualcuno che mi aiutasse a rispondere. Professori, scuole, università, aziende, open-day, iniziative ministeriali, opuscoli, giornate d’orientamento. Un grande sforzo comune, eppure non sufficiente a risolvere i nodi cruciali sul futuro mio e dei miei compagni che rimaneva avvolto da una cortina impenetrabile.
Ma non era colpa di nessuno. La ragione è che tutto era cambiato da quando la generazione che stava aiutandoci a scegliere, aveva scelto a sua volta. Il mondo come lo conoscevano loro – insegnanti, università, famiglie, lavoratori – nel frattempo aveva fatto le capriole tre volte. Contesto di riferimento, condizioni del mercato del lavoro, valori pubblici e culturali, prospettive economiche e sociali: tutto diverso, tutto cambiato.
Quindi ho preso la mia decisione scegliendo di seguire una “vocazione” e iniziando a studiare filosofia. Non è stata una vera e propria scelta ma un salto nel buio. E da lì, nel mio percorso di formazione prima e di avvicinamento al mondo del lavoro poi, ho proceduto a tentoni. Perché? Di cosa più ho sentito la mancanza? È stata la presenza di qualcuno che fosse simile a me e dicesse che non ero solo, che i miei dubbi e preoccupazione erano condivisi, e che mi raccontasse le risposte che aveva trovato, gli errori che aveva commesso e le lezioni che aveva imparato. Perché le statistiche di occupazione post-laurea snocciolate dagli atenei hanno tutt’altra funzione rispetto a quella di aiutare uno studente a capire come costruire il suo futuro.
Oggi mi occupo di consulenza di innovazione e startup. Il percorso che mi ha condotto a questo punto è stato molto tortuoso. Le coincidenze fortuite e i vicoli ciechi che ho trovato inaspettatamente sul mio percorso hanno giocato un ruolo fondamentale. Ora più che mai riesco a comprendere ciò di cui avevo bisogno: di storie, di esperienze, di suggerimenti raccontati da persone in cui potessi riconoscermi e rivedermi, cui chiedere, da cui ricevere e dare risposte; persone che avessero già compiuto questo salto e avessero trovato una strada, o ne avessero provate molte, persone che avessero fallito e ricominciato ancora e ancora e ancora, ma che guardassero il mondo da una prospettiva e con obiettivi e aspirazioni in cui potermi riconoscere.
Il progetto (In)formiamoci vuole essere proprio questo: un ponte tra chi ha già gettato le basi del proprio futuro e chi invece è chiamato oggi a fare quelle scelte che segneranno il suo, mettendo a fattor comune in modo aperto, schietto e costruttivo, successi e insuccessi, storie usuali e straordinarie, competenze ed esperienze, per fare in modo che questo momento di passaggio non costituisca un’occasione persa bensì un momento per fare il pieno di esperienze, stimoli, carica, grinta e ottimismo, per prendere in mano il proprio futuro e affrontare al meglio – e vincere! – le sfide che si sceglieranno di affrontare.
(Stefano Daelli, futurarenauta)