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Non mi capita spesso – da quando 5 anni fa abbiamo trasformato RENA da un’idea in una bella realtà associativa – di venire in Italia in veste professionale a occuparmi di questioni che mi stanno a cuore da arenauta e da cittadino. L’occasione mi è stata data due settimane fa, per il lancio a Roma del Rapporto delle Nazioni Unite sullo Stato del Volontariato nel Mondo.
Mai come in questoo caso mi è parso che quello di cui mi occupo quotidianamente da più di dieci anni in Africa, promuovere la cittadinanza attiva, la responsabilità dei governi per l’avanzamento socio-economico e il dialogo fra le diverse parti sociali, ha acquisito una rilevanza critica in un’Italia in cui si sente uno scollamento crescente tra la società civile – intesa nella sua accezione più ampia – e la classe politica ed amministrativa.
Questa riflessione mi ha reso consapevole che un’avventura iniziata per mantenere un contatto con il mio Paese ed arricchirne il dibattito pubblico sulla base dell’esperienze acquisite all’estero (era così che concepivo la mia partecipazione a RENA) ha preso piede con maggiore determinazione in un momento il Paese sta affrontando un profondo momento di crisi. Ma più che la crisi economica quello che preoccupa è la crisi sociale. È il fatto che tutte le parti sociali non siano messe a lavorare assieme verso lo realizzazione di una visione comune. Leggere i giornali, ascoltare i dibattiti descrive un Paese coinvolto in un grande tiro alla fune tra posizione inutilmente opposte : rigore-crescita, anziani-giovani, flessibilità-certezze, uomini-donne, nord-sud.
Mai come in momenti come questi l’impegno dei cittadini è necessario e se da un lato i cittadini hanno il dovere di rafforzare il proprio contributo di solidarietà sociale, è responsabilità delle istituzioni e degli amministratori quella di creare le condizioni perchè ciascuno possa fare la propria parte. Invece sembra che i cittadini si stiano mobilitando contro le istituzioni in maniera sempre più critica e verbalmente aggressiva e che Governo e Parlamento abbiano preso come interlocutori privilegiati altri soggetti (istituzioni europee, istituti di ricerca, rappresentanze di categorie arroccate e parziali) che i cittadini che rappresentano e su delega dei quali gestiscono il nostro Paese.
A fronte di tutto questo, credo che l’impegno civico volontario possa rappresentare una risposta a questa crisi, in un momento in cui ciascun cittadino deve prendere la propria responsabilità di far funzionare questo Paese nelle sue dinamiche democratiche, sociali ed economiche. E parlo del volontariato in tutte le sue espressioni:

  • quella politica, attraverso un rinnovato impegno civico a disegnare assieme i programmi delle forze politiche e le città, regioni e il Paese che vogliamo per noi e ad animarne il dibattito tra i cittadini;
  • quella sociale, attraverso un maggiore riconoscimento del valore di sussidiarietà dell’impegno volontario a sostegno di forme di solidarietà e accompagnamento delle fasce più deboli e disagiate nel Paese;
  • quella economica, perchè il volontariato rappresenta una forza a sostegno dell’economia sociale, rappresenta un pilastro dell’impresa sociale ed ha anche un valore economico intrinseco, equivalente alle ore lavorate.

Mentre la dimensione sociale ha senza dubbio una tradizione ed un quadro all’interno del quale evolve da decenni, le dimensioni politica ed economica sono al palo. In politica, l’impegno civico sembra aver perso il proprio valore a fronte dei grandi interessi personali e di parte – salvo rare eccezioni e nelle forme di movimenti che hanno una dialettica « contro » piuttosto che disegnare una visione per il futuro. In economia, l’esperienza italiana dell’economia sociale resta legata a logiche e modelli vecchi di decenni e influenzati da culture politiche ideologiche che non riescono ad innovare e a fare dell’economia sociale una fonte sostenibile di partecipazione.
Per rilanciare l’impegno dei cittadini sembra necessario:

  • riformare le diamiche eletti/elettori per riportare davvero le forze politiche a rappresentare anime diverse della citadinanza;
  • rafforzare i sistemi di riconoscimento del valore della sussidiarietà, attraverso una riforma delle forme legislative del terzo settore e dei meccanismi di consultazione/concertazione;
  • elaborare una strategia seria di promozione dell’economia sociale – di cui l’impresa sociale rappresenta un pilastro auto-sostenibile e che potrebbe portare maggiore meritocrazia e riconoscimento del talento imprenditoriale con un impatto nella vita dei cittadini.

Adottare misure i questi ambiti non avrebbe grandi costi – forse politici sì – e seminerebbe la solidità e la ritrovata coesione sociale dell’Italia di domani. Tuttavia l’attenzione degli attori più influenti sembra davvero rivolta altrove e come associazione – assieme a diverse realtà con cui condividiamo questa visione – continueremo a promuovere la riflessione in questa direzione perchè l’Italia torni ad essere un Paese a regola d’A.R.T.E. (Apertura – Responsabilità – Trasparenza – Equilibrio).

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