di Andrea Danielli
Per quanto la crisi stia mettendo a dura prova le istituzioni nazionali, attualmente sospese in un imbarazzante stallo, e in Europa stia alimentando un nuovo fronte populista, non tutte le sue conseguenze sono pericolose per la democrazia anzi, come cercherò di argomentare, dalla crisi si può uscire con un modello rinnovato e più efficace di partecipazione politica.
Seguo un semplice ragionamento: realtà economica e istituzioni politiche si influenzano reciprocamente, e, storicamente, le innovazioni nella prima si riflettono nella seconda e viceversa. Passando in rassegna alcuni esempi, l’agricoltura avrebbe spinto alla nascita di istituzioni via via più complesse, l’emergere di artigianato e commercio hanno reso l’aristocrazia inutile, il liberalismo è stato un motore della prima rivoluzione industriale, lo stalinismo, infine, ha portato a un’industrializzazione forzata di enorme entità.
Sostengo allora che, se l’uscita dalla crisi avviene (anche) attraverso lo sviluppo di un’economia collaborativa, è possibile ricavare conseguenze positive sulle istituzioni democratiche.
Prima osservazione: le avvisaglie dello sviluppo della “wikinomics” sono innumerevoli. Nell’informatica sono già a uno stadio avanzato, oltre a Wikipedia c’è Spinoza, oltre a Linux ci sono Udoo e Arduino.
Nella vita quotidiana, la collaborazione è una risposta intelligente ai problemi: penso ai coworking che spuntano come funghi per risparmiare sugli affitti, alle cooperative di consumo, al car pooling di BlaBlaCar che ti invita a lasciar perdere l’automobile. Il couchsurfing e AirBnb, infine, ti fanno viaggiare a poco prezzo. Come già analizzato a fondo da Filippo Lubrano su questo blog qualche giorno fa c’è un cambio di paradigma in atto.
La crisi della politica e delle istituzioni è precedente alla crisi economica, e deriva da una graduale disaffezione dei cittadini alla cosa pubblica. A mio avviso, il periodo di crescita economica durato fino agli anni ’90 ha contribuito fortemente a preparare la decadenza della democrazia, vediamo, seppur molto rapidamente, in che modo.
Il benessere ha apparentemente reso i legami sociali più deboli, perché non necessari. Il sogno di una casa di proprietà, coltivato fino ai mutui subprime, ha alimentato l’idea di autonomia completa dalla famiglia. La badante è subentrata alla famiglia allargata, i siti di incontro come Meetic rendono le serate socializzanti superflue. Novità tecnologiche hanno ridotto il contatto umano: i videogiochi riempiono la solitudine di milioni di adolescenti, la spesa si fa nei centri commerciali, moltissimi servizi sono ormai disintermediati mediante soluzioni on-line (viaggi, prenotazioni, gestione del conto corrente, shopping).
Milioni di persone provano l’alienazione di un lavoro che non amano, la routine della catena di montaggio si è solo trasferita davanti a uno schermo illuminato, e sfuggono dall’insoddisfazione attraverso i mezzi materiali di cui dispongono.
Due concetti sono utili per capire l’effetto del benessere: individualismo e edonismo.
L’origine dell’individualismo può forse risiedere nel consumismo, nell’idea di autosufficienza per cui i beni materiali possono soddisfare esigenze “spirituali” o, in una lettura più laica, gli oggetti possono sostituire le esperienze e le relazioni umane. I prodotti di consumo si cambiano e sostituiscono per soddisfare il proprio narcisismo, quante volte questa dinamica si riproduce con le persone?
L’edonismo è entrato sottilmente come sfruttamento del proprio tempo libero e, ancora oggi, si dimostra un forte fattore di conservazione sociale. Non importa se notizie allarmanti sulla crisi e la disoccupazione siano diventate routine, le sere del week end di una città come Milano si riempiono di giovani che hanno solo una gran voglia di divertirsi, nonostante tutto. E’ difficile rinunciare alle proprie abitudini, a diritti acquisiti, almeno fino a quando ci sono le risorse per alimentare il proprio stile di vita.
Alla luce di quanto argomentato, non è difficile immaginare che, per soddisfare l’esigenza di rappresentanza di questa società disgregata, sia stato a lungo sufficiente un partito-azienda, non strutturato sul territorio, retto da un leader carismatico e da una potente macchina mediatica. Un leader che ha promesso di mantenere questo livello di vita, se non di migliorarlo, e che ha favorito una non cultura dell’apparenza e dell’esibizione.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, è arrivata la crisi e con lei il calo dei consumi. Individualismo ed edonismo non sono più strategie ottimali in un paese in cui le risorse cominciano a scarseggiare. Forse è più difficile conservarli quando ti accorgi che, intorno a te, la gente sta male: ci riscopriamo umani.
Ecco allora la formazione di gruppi di co-produzione, come sta avvenendo con il fenomeno dei makers, che rende la soddisfazione dei propri bisogni sottoposta all’aiuto di altre persone, in larga parte sconosciute, con cui si impara a collaborare e condividere conoscenza.
Ecco che per informarsi si risparmia su quotidiani e riviste, e si scoprono siti di qualità gestiti da volontari. Riparare casa costa, ma in Rete trovo sconosciuti di mezzo mondo che mi danno consigli su come imbiancare, attaccare un lavandino, sostituire il condizionatore.
Mi accorgo che intorno a me esistono milioni di altruisti che non ragionano unicamente attraverso la logica del denaro: non è un potente stimolo ad aver più fiducia nell’altro?
E’ naturale: collaborare spinge a conoscere meglio le persone, anche attraverso lo scontro che, inevitabilmente, è implicito in ogni organizzazione. Allargare il proprio circuito alla ricerca di aiuto significa aprire la propria visione del mondo, perché Internet è globale. Il viaggio in macchina con uno sconosciuto, o l’ospitalità su un divano, sono mezzi per entrare in altre vite e scoprire che, superficialità a parte, non sono così diverse dalla nostra.
Stiamo mettendo i semi per una nuova democrazia: appianiamo le distanze, creiamo fiducia e impariamo a collaborare; non serve più sfruttare l’apparenza e indottrinare, manifestazioni spontanee si stanno diffondendo dappertutto e, lo ha mostrato soprattutto Grillo, si riempiono nuovamente le piazze.
Speriamo che anche i partiti diventino più permeabili e che sia possibile far emergere al loro interno nuove idee: la tecnologia dovrebbe rendere più facile la comunicazione tra iscritti, si tratti di Liquidfedback, di sondaggi con SurveyMonkey o dei vecchi forum.
E’ solo un sogno? Eppure, nemmeno la trasformazione del consumatore in prosumer era prevedibile negli anni di No Logo.
Non è possibile che un fenomeno analogo renda l’elettore più consapevole? Perché si informa meglio, crea contenuti su cui si confronta, partecipa a sondaggi e discussioni in rete, con la stessa semplicità e naturalezza con cui lascia i commenti sui bed&breakfast, le recensioni dei libri, le chiavi di casa in mano a una persona che l’ha contattato via AirBnb.
Per concludere, credo che, se riscopriamo il valore dell’altro, saremo più capaci di prendere decisioni insieme a lui.
Andrea Daniellli, arenauta