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Oggi parlo di RENA e delle cose che le assomigliano. La maggior parte dei nuovi movimenti, nati non solo in Italia ma in tutto il mondo, hanno cominciato la loro storia così: centinaia o migliaia di individui e gruppi, attivi in ambiti diversi e sparsi in luoghi anche lontani tra loro, cominciano a pensare al cambiamento usando un linguaggio comune, senza necessariamente riconoscere o rivelare l’esistenza di valori condivisi. Ogni soggetto comincia a seguire il proprio vettore, spinto su quella direttrice dalle persone che lo circondano. E un giorno uno si volta e realizza all’improvviso che tutte le traiettorie individuali si sono trasformate in un’onda.
RENA è uguale, ma diversa. RENA è partita dotandosi fin dal principio di una semplice ma chiara struttura funzionale e dalla scelta di precisi valori primari e si è poi rivolta all’esterno promuovendo il metodo che l’aveva fatta nascere e usando i valori che la definiscono. Per questo RENA oggi cresce lentamente, ma inesorabilmente, restando fedele a se stessa e riuscendo a realizzare cose concrete. Qualcuno all’inizio deve aver avuto un’intuizione.
In un sistema di governance orizzontale e fondato su una rete di relazioni distribuite, i luoghi del controllo si trovano al confine del sistema stesso. Difendere i valori di apertura, responsabilità, trasparenza ed equilibrio e farli viaggiare sulla bocca di paladini sparsi su un territorio fisico e semantico che sia il più vasto possibile significa contribuire a creare il contesto in cui non può più esistere un centro decisionale, ma al massimo un luogo che si prenda cura di far sì che i legami spontaneamente creatisi tra quelle che un tempo erano le periferie – singoli o gruppi di individui – siano il più saldi ed efficienti possibile. In questo contesto l’unica speranza per il centro di continuare a godere di una quota di superiorità funzionale, che gli consenta di servire offrendo una visione, è rendere le periferie dipendenti dalla propria singolare capacità di mettere a disposizione gli strumenti che consentono alle periferie di parlarsi e interagire.
Questo è vero per ogni organizzazione. È vero per un’azienda, per un’associazione, ma anche per le amministrazioni locali e, con le dovute cautele e sfumature, anche per l’organizzazione dello Stato. Per questo motivo RENA a mio avviso dovrebbe fare due cose tra le altre nei prossimi mesi. Dovrebbe dotarsi di un social network interno che sviluppi le funzionalitàe della sua area riservata e si apra progressivamente a tutto il mondo della società civile strutturata. Dovrebbe rafforzare ancora di più tutto il suo apparato ideale – somma del logo, dei valori, e dei principi operativi, della sua teoria funzionale – e renderlo essenziale per tutta la retorica e l’azione associativa. E questo naturalmente non per costruire un soggetto incredibilmente potente, ma piuttosto uno impossibilmente potente, che abbia l’ambizione di sciogliersi dentro lo stesso nuovo mondo che si è impegnata a creare. A questo, a mio avviso, dovrebbe tendere chiunque si occupi di governance, nel pubblico come nel privato.