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Esistono arene diverse per contribuire al bene comune. Cosí come esistono intensità differenti per agire all’interno di ciascuna arena. Ogni cittadino puó scegliere di essere un motivato e onesto lavoratore, può essere un amorevole e presente membro della propria famiglia, può essere un appassionato e informato elettore, puó essere un visionario e generoso attivista, puó essere un pasionario e infiammato sindacalista, può essere un fedele e dedicato membro di partito o di un movimento con ambizioni governative e cosi via.
In controcorrente rispetto al messaggio che nasce da quello che ritengo essere il risultato una fuorviante illusione semantica, io sono fermamente convinto che i protagonisti di ciascuna arena debbano interpretare il proprio ruolo in maniera fedele alle regole che definiscono l’arena prediletta. La ragione è semplice: queste regole sono diverse, radicalmente diverse. Ed è un bene che lo siano. Non solo, questi protagonisti dovrebbero evitare di utilizzare in alcune arene i crediti guadagnati in arene diverse. Perchè ciascuna arena assegna al cittadino una funzione diversa rispetto alla costruzione del bene comune.
Provo a spiegare. Un lavoratore esaurisce i suoi obblighi verso i propri superiori o i propri dipendenti all’interno dell’ambiente di lavoro e per farlo riceve uno stipendio. Un padre ha verso un figlio delle responsabilità che gli consentono in alcuni casi di non prendere in considerazione le opinioni che il figlio puó avere. Un elettore è libero di votare per un nuovo partito ad ogni tornata elettorale. Un arenauta sceglie di dedicare del tempo a RENA, ma nessuno lo obbliga, e si deve ricordare che dentro e fuori RENA non rappresenta che se stesso e in alcuni casi niente più che l’associazione. Un sindacalista è chiamato a difendere degli interessi di parte, anche a discapito di altre categorie di lavoratori. Un parlamentare deve operare inseguendo la sua idea di bene comune, quella per cui è stato votato, e nel farlo non puó che agire nel compromesso, quello piú vasto possibile, il solo che gli permetterà di essere rieletto.
Mescolare le carte comporta inevitabili conflitti di interesse, o quanto meno il rischio di mancata trasparenza e fedeltà rispetto alle regole dell’arena da cui il singolo proviene e alla funzione che l’arena gli attribuisce. La questione diventa particolarmente delicata quando si invita la società civile a partecipare alla competizione elettorale o quando il mondo delle associazioni chiede di entrare a far parte di liste elettorali pretendendo di essere il depositario della coscienza di chissá quale gruppo o minoranza, anche se magari non raccoglie al suo interno che poche centinaia o anche migliaia di persone. La questione diventa delicata perché non esistono i rappresentanti della società civile, al piú esistono i pezzi della società civile, pezzi ben identificabili, riconducibili a progettualitá, interessi, e valori definiti. Per intenderci, RENA svolge un servizio nobile e necessario, ma non rappresenta che se stessa e il proprio punto di vista, che piaccia o meno.
Saltare il confine significa smettere le vesti passate e entrare in un’arena diversa. Un arenauta che va in Parlamento non puó, né deve rivendicare meriti speciali per essere stato parte di RENA. Naturalmente non si dissocia dalla sua storia e dal suo percorso, ma dal mio punto di vista, un parlamentare non dovrebbe piú fare parte di RENA ed evitare cosí ogni sorta di malinteso, e questo dal momento in cui decide di correre per un seggio. In alternativa un individuo in corsa per il Parlamento o un parlamentare dovrebbe quanto meno indicarlo nel pproprio profilo RENA e magari firmare un impegno ad evitare ogni forma di conflitto di interesse per l’associazione. Un parlamentare è un parlamentare e basta e deve comportarsi come tale. Non capirlo significa mentire a se stessi e agli altri. Significa sfruttare rendite di credibilità e relazionali ottenute operando in contesti diversi. Significa servirsi di un sussidio incrociato. Significa tradire. Cambiare arena è legittimo e per certi versi persino auspicabile, ma il passaggio va fatto con il massimo della chiarezza. Se un cittadino attivo sceglie di salire in politica non lo fa per prestarsi alla politica, ma per trasformarsi in politico, e nel compiere quel passo cessa immediatamente di essere un pezzo della societá civile. Irrimediabilmente.
Concludo con poche parole sull’illusione semantica da cui sono partito. Si dice in generale che è bene che i partiti si aprano alla società civile. La cosa è a mio avviso sacrosanta. Il problema nasce dal modo in cui questa espressione viene interpretata. Un contesto in cui i politici, qualunque sia la loro vita precedente, dialogano costantemente con tutti i pezzi della società civile è assolutamente auspicabile, direi necessario in una moderna democrazia. Quello che non va sono la confusione e l’inversione dei ruoli. Quando queste si materializzano il rischio di perdere credibilità è dietro l’angolo. Per tutti. E purtroppo in questo momento in Italia stiamo facendo molta confusione e il rischio che vedo è che alcuni soggetti, tentati dal gioco del potere istituzionale, finiranno per screditare la rivendicazione di libertà e indipendenza che consentono al mondo associativo di operare con utilità al servizio del bene comune.