di Gianluca Sgueo, partecipante alla Summer School RENA.
Chiedetelo a chi ha vissuto a New York trent’anni fa. Droga, AIDS, criminalità e un’amministrazione locale che rischiava la bancarotta. Un disastro. Perché oltrepassare la linea immaginaria della quattordicesima strada? “Never above fourteen!” era il mantra dei ricchi newyorkesi bianchi che abitavano il borough di Manhattan. Di là l’insicurezza, il pericolo. Di qua la tranquillità di una vita sicura, tutto sommato mediocre, ma proprio per questo confortevole. Ce le abbiamo tutti le linee immaginarie no? Sono quelle che ci separano dagli altri. Le usiamo per illudere noi stessi: di vivere in spazi sicuri, di prevedere l’esito delle nostre azioni, di comprendere cosa sta succedendo intorno a noi.
C’è una linea immaginaria tra voi e il vostro capo, la vedete? Un’altra vi separa da quel concorso pubblico al quale non avete partecipato, tanto “sono tutti raccomandati”. Ne vedo un’altra, è proprio lì, sorniona. Voi pensate che non ci sia. Invece c’è ed è a metà tra voi e quel corso universitario che avreste voluto frequentare, ma che avete sempre rimandato pensando di non essere adatti, o magari di essere troppo vecchi per queste cose. E la linea non si sposta! Continuate a cercare. Ma fatelo bene. Ne troverete migliaia. Una rete di protezione. Ognuno ha le sue. Tante, tantissime, quattordicesime strade da non sorpassare mai.
Non vi biasimo mica. Uscire dal reticolo personale è una faticaccia, e che noia. Avete mai fatto il grande passo oltre la linea? Mica è facile. Si sta tanto bene nella parte confortevole. Però scommetto che la tentazione l’avete avuta anche voi. Chi lo sa. Sarà che il proibito ha sempre il suo fascino. È la promessa che si nasconde dietro l’angolo. E poiché a me le tentazioni piacciono l’ho fatto qualche volta. Posso descrivervi cosa si prova.
Beh, tanto per cominciare girare l’angolo è bellissimo. Scopri che non è poi così malaccio. Anzi a dirla tutta si sta proprio bene. E si sta in compagnia. A Matera per esempio eravamo trenta. Che comitiva ragazzi. Giovani, giovanissimi e senior, introversi ed espansivi, creativi e metodici, chiacchieroni e taciturni. Tutti, nessuno escluso, fiduciosi. Che poi la fiducia sia un concetto malleabile come una formina di pongo e ciascuno avesse un modello tutto personale con il quale divertirsi e sporcarsi le mani è un dato di fatto. Sarà stato così, ma questi trenta “scavalcatori di linee” quei pezzetti di pongo li hanno messi assieme e ci hanno costruito una piattaforma per aiutare i cittadini materani a dialogare meglio con la propria città. Ecco un’altra linea immaginaria superata. E siamo già a due. Supereremmo la decina se, mettendoci a contare, dovessimo descrivere in dettaglio ogni singolo momento della settimana. Per fortuna l’ha già fatto qualcuno, e molto meglio di come avrei potuto farlo io. Meglio, allora, concentrarsi sugli ultimi due giorni, quelli più frenetici di tutti.
A partire dal venerdì, quando i trenta valorosi si sono trovati a dover scrivere il progetto concreto di piattaforma. Basta brainstorming, era l’ora di essere concreti. Pare ci siano riusciti. E vai con un’altra linea superata. Il pomeriggio poi i nostri eroi hanno ricevuto Massimo Cacciari. Un po’ filosofo, un po’ amministratore, il mentore veneziano s’è messo a disposizione dei nostri, rispondendo alle loro curiosità. Ed è stato un bel teatrino. Poca la spocchia, molta la sincerità. Ma, soprattutto, molta la voglia dei partecipanti di avere da lui risposte chiare. Che poi non ne avesse, o ne avesse di poco innovative, è un fattore secondario. Ha prevalso la cordialità.
La stessa cordialità ritrovata a cena. Una cena importante, direbbero alcuni, in un posto con una vista eccezionale, tra le migliori che si possano avere a Matera. Una volta tanto al tavolo da pari a pari con persone celebri, che non erano lì per caso, anzi. Erano lì per parlare di tutto, di cose serie e meno serie, con persone che celebri non sono, ma dalle quali (forse) hanno qualcosa da imparare. Una bella lezione. Un’altra linea superata. Il bottino è già ricco, e l’ultima giornata ne ha consacrato la pinguedine.
Già, c’è l’ultima giornata da raccontare. Non vorrei dilungarmi troppo nella descrizione dei fatti. Vale quello che ho detto prima, qualcuno lo ha già fatto – o lo farà – molto meglio di come potrei farlo io. Per non parlare delle immagini che sono a disposizione di tutti. Meglio concentrarsi sulle sensazioni. La prima è quella di una certa emozione e malinconia. Sono tipiche di questo genere di esperienze in cui si finisce per convivere in uno spazio comune per più giorni. L’emozione andrà via presto, la malinconia no. Ci vorrà ancora qualche giorno. Poi resteranno le foto da sfogliare per ricordare. Intanto, lì intorno, succede un po’ di tutto. Magliette arancioni indossate sopra la camicia, foto di gruppo, video-ricordi, caffè, sigarette e gelati a ripetizione. I trenta stanno per dividersi, ma le ultime ore sembrano le più belle. E lo saranno davvero, fino all’ultimo istante. Si conoscono da poco ma a loro sembra di essere amici da una vita, e va bene così. Domani, quando ciascuno di loro prenderà la macchina, il treno o l’aereo per tornare a casa avranno molte più certezze di quelle con cui sono partite. Chissà se tornando al lavoro di tutti i giorni si ricorderanno di quello che hanno imparato, e se lo metteranno in pratica.
Io dico di sì. Adesso vivono al di là della quattordicesima strada.
di Gianluca Sgueo
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