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Articolo di Andrea Danielli

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Sul domenicale del Sole 24 Ore del 17 febbraio Roberto Napoletano, nel riferirsi al secondo dopoguerra, ci consegna le preziose parole di Mauro Campus che, per descrivere la classe dirigente che ci traghettò nel benessere, parlò di “formidabile élite delle competenze”. Non si può non condividere, ripensando al fiuto di Cuccia, all’utopia di Olivetti, al pragmatismo di Mattei, all’efficacia di Valletta.

Periodi straordinari producono uomini straordinari? In parte sì. Ma esiste anche una spiegazione più prosaica: nel ricostruire il paese buona parte dei posti di comando erano vacanti e, con una certa lungimiranza, chi poteva decidere come gestirli decise di offrirli a persone capaci. Lo fece perché occorreva risolvere problemi impellenti: ricreare strade e costruire autostrade, eliminare l’analfabetismo, edificare migliaia di palazzi, dare da mangiare a milioni di abitanti; e l’unico modo per sconfiggere le piaghe di un paese uscito distrutto dalla guerra era contare sui migliori. Nel privato, capitani d’industria come Olivetti e inventori come Natta poterono emergere per altre ragioni: c’era più spazio, meno prodotti, meno concorrenza (soprattutto sleale).

Sebbene nel 2013 il paese non stia uscendo da una guerra sanguinosa, i problemi che si trova ad affrontare sono comunque enormi: dal debito pubblico allo strapotere mafioso, dalla disoccupazione alla mancanza di crescita economica. Per ripartire, ha bisogno nuovamente di un’elite delle competenze: perché il populismo si nutre di sfiducia nelle istituzioni e si sconfigge solo elevando la qualità di chi deve prendere le decisioni cruciali. A differenza degli anni 50, il mondo oggi non aspetta l’Italia: il peso dell’economia si sposta in Asia, non c’è infatti nessuna cortina di ferro vicina ai nostri confini. Tutti i paesi OCSE si trovano a perdere terreno nel manifatturiero, molti di loro devono gestire l’invecchiamento della popolazione e debiti pubblici fuori controllo: nella scarsità di risorse la concorrenza si fa più spietata. L’Italia deve trovare in sé le risorse per risollevarsi, non esistono alternative.

Ecco allora che occorre dare spazio e fiducia a chi ha idee nuove: solo cambiando l’attuale classe dirigente è possibile ricreare un’elite di competenze. Per una ragione semplice: la realtà è cambiata troppo profondamente perché a comandare siano persone nate quarant’anni prima dell’avvento della globalizzazione e di internet. Non si possono ascoltare manager e politici sessantenni parlare di innovazione tecnologica se non sanno rispondere a un’email. Non sono credibili imprenditori che gestiscono imprese prive di siti promozionali, che non sanno parlare inglese o non capiscono nulla di macroeconomia e finanza. Aggiungo che la stasi italiana è ovunque, non solo in economia: colpisce la cultura, l’arte, i media, la burocrazia, la scuola.

L’attuale tasso di ricambio delle posizioni dirigenziali è troppo basso: perché l’ingresso nel mondo del lavoro è diventato più difficile, l’età pensionabile più lontana (e chi occupa posti di comando tende a rimanerci fino alla pensione) e perché l’ascensore sociale è abbondantemente bloccato, visto che la meritocrazia è tuttora solo una parola su cui scontrarsi. Di questo passo, è impossibile introdurre la novità che è richiesta per far fronte a nuovi problemi.

Il ruolo di Pionieri, e la sua forza, sta nel far emergere chi sta riuscendo a cambiare questo stato di cose, nonostante tutto; si offre uno spazio di espressione a chi ha davvero qualcosa da dire. Non avendo risorse economiche da investire, è possibile migliorare la società e lo Stato unicamente attraverso un uso intelligente dell’informazione. Far circolare informazione di qualità diventa allora un atto rivoluzionario, perché gravido di conseguenze positive. Per chi lotta contro la chiusura delle piccole librerie scoprire il progetto “Liberos” può significare l’avvio di una resistenza alla grande distribuzione, chi intende recuperare immobili inutilizzati può fare affidamento su “[im]possible living” e così via. Invece di spendere mesi a immaginare nuove strategie, è sufficiente adattare strategie già esistenti al proprio contesto o attingere, gratis, a risorse già esistenti.

Un’obiezione potrebbe sorgere spontanea: se facessimo circolare informazione e riuscissimo a migliorare i nostri processi, non rischieremmo di conservare l’attuale classe dirigente, salvando il paese dal baratro e impedendo la “rivoluzione”? Non credo, perché al momento il consenso si costruisce sulla difficoltà di fare e agire, sull’intercessione del potente di turno, e l’emergere di figure esterne al nostro clan a cui affidarsi per ricevere consigli (non protezione politica) favorirebbe la crescita di legami orizzontali.

Pionieri può scatenare un gigantesco networking tra associazioni che, incontrandosi, possono bypassare la politica per risolvere buona parte delle difficoltà pratiche in cui incorrono quotidianamente. Consulenza p2p: il futuro dell’Italia. È il metodo giusto per creare la nuova elite delle competenze, basandola sulla collaborazione e sul merito (contatto i più bravi), e non sull’amicizia e la cooptazione.

Un’idea che carezzo da qualche tempo, ispirandomi a pratiche tipiche delle comunità open source, è la creazione di un database di buone politiche (policies) locali da condividere liberamente. Comuni e regioni pubblicano le proprie iniziative di successo, offrendo dettagliate descrizioni, secondo standard condivisi, del proprio intervento, e accedono gratuitamente a quelle altrui. Funziona se si ha il coraggio di rinunciare a logiche assistenzialiste e si crede nel proprio lavoro.

Con un grande sponsor, Rena potrebbe iniziare questo ambizioso progetto e co-gestirlo insieme ad altre realtà partner (soprattutto sul piano informatico). Ne ha l’esperienza, come ha dimostrato con co/Auletta, e il capitale umano, che si raccoglie ogni anno alla Summer School. Per gestirlo, occorre conoscere come si sviluppano le comunità on-line, come si motivano i partecipanti, come si creano interfacce user-friendly: occorre, in breve, una classe dirigente nuova che si legittima nella propria capacità di risolvere gli attuali problemi della nazione (e l’inefficienza della PA è uno dei più gravi).

Concludo citando lo studio di Shl (società di consulenza in risorse umane) che offre una valida ragione di ottimismo: l’Italia è nella top ten dei paesi più ricchi di potenziali leader (il link è presente sull’ultimo numero della Harvard Business Review: http://www.shl.com/assets/it/SHL-Talent-Report-IT.pdf ).

Sta a noi metterli in rete e renderli famosi.