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La necessità che avvertiamo in questi tempi è avere cambiamenti sistemici, soprattutto alla luce di quanto emerso negli ultimi mesi.

(Davide Giovinazzo, socio Associazione RENA)

La seconda giornata della Scuola si apre con una mattinata dedicata all’analisi delle disuguaglianze generazioni, di genere e territoriali.

Il nuovo che manca al mondo del lavoro in Italia – Alessandro Rosina, Università Cattolica di Milano

I talenti devono andare dove possono trovare terreno dove poter svilupparsi. Dobbiamo impegnarci collettivamente per rendere il nostro Paese fertile e attraente

Nell’analisi delle diseguaglianze generazionali Rosina è partito dalla necessità di fare chiarezza su un concetto più volte richiamato all’interno del dibattito pubblico: il concetto di futuro.

 

Cosa sappiamo del futuro?

Il futuro non può essere rubato. Nonostante più volte si faccia riferimento al furto di futuro, questo non può avvenire, quello su cui bisogna interrogarsi è quale futuro stiamo costruendo per le nuove generazioni.

All’interno del dibattito pubblico spesso si richiama la necessita di “dare un futuro” alle nuove generazioni, ma bisogna fare uno sforzo collettivo per riuscire a superare questa visione paternalistica. La necessità deve essere quella di dare un presente nel quale costruire un futuro condiviso con un coinvolgimento attivo delle nuove generazioni.

Del futuro sappiamo inoltre che sarà diverso, e quindi la sfida è capire in cosa sarà diverso, e comprendere come questo cambiamento possa e debba essere un miglioramento. In questo l’elemento distintivo e principale di diversità è l’arrivo delle nuove generazioni stesse. Questa novità deve diventare valore.

In un mondo sempre più complesso la capacità di previsione oltre che difficile diviene molto costosa, quello che però sappiamo però è cosa desideriamo e ci aspettiamo, quindi si possono investire risorse ed energie nel trasformare il futuro desiderato in quello realizzato.

Infine, nessuna generazione è indipendente dalle altre. Diventa sempre più fondamentale la capacità di mettere a sistema il valore di ciascuna generazione, la questione è come aggiungere il portato e l’esperienza di una generazione al bagaglio della successiva.

In questo contesto risulta quindi fondamentale lo strumento della demografia. Si tratta dell’unico elemento di previsione con una buona capacità di approssimazione, che è in grado di fornire un’informazione solida. Per questo dobbiamo considerarla un’impalcatura su cui tracciare le policy future e una base di dati fondamentale per lo sviluppo del sistema Paese.

Dallo studio dello sviluppo demografico della popolazione italiana, sappiamo che nel 2045 vi sarà una crescita della fascia anziana rispetto ad oggi pari a 6,5 milioni di individui. La fascia di popolazione attiva in età lavorativa si ridurrà invece per un valore pari a 6 milioni di individui. I giovani e giovanissimi si stabilizzeranno verso il basso. Questo è il quadro dell’impalcatura del futuro del Paese. Questo è un dato e come tale deve essere il riferimento per qualsiasi ragionamento e prospettiva futura.

In Italia, ad oggi, ci siamo permessi il lusso di ignorare questi squilibri perché fino ad oggi la popolazione attiva era molto numerosa. Le criticità quindi nascono dalla consapevolezza che, in prospettiva, questa fascia di popolazione andrà riducendosi e che se vengono mantenuti in essere questi squilibri (soprattutto in ambito pensionistico e assistenziale) la tenuta del sistema Paese entra in crisi.

A questo punto dobbiamo capire come rendere sostenibile la spesa, e per rendere chiaro il passaggio Rosina introduce l’esempio della Torre di Pisa.

La Torre di Pisa, sin dai primi anni di edificazione mostrò evidenti problemi strutturali dovuti al terreno sopra il quale è stata costruita. A questo punto i costruttori potevano scegliere di abbattere quanto costruito e cambiare direttamente il luogo oppure continuare la realizzazione con la consapevolezza della situazione e cercando soluzioni originali in grado di ripensare l’idea iniziale. La loro scelta ha così creato un edificio unico nel suo genere che è stato in grado di rispondere alle sfide inattese.

Come per la Torre di Pisa, l’Italia si trova con squilibri importanti, dopo i primi 2 decenni di entrata nel nuovo secolo, e la consapevolezza di dover agire per poter modificare e salvare così il sistema Paese.  

La sfida che collettivamente bisogna raccogliere è capire come mettendo a sistema le diversità e le capacità presenti nel sistema si possa immaginare uno scenario nuovo in grado di trovare soluzioni originali e sostenibili.

Per farlo bisogna quindi agire su tutte le leve che ci sono a disposizione e che sono brevemente riassunte di seguito:

1- Lunga vita attiva. Trasformare in valore le potenzialità maggiori che possiamo avere anche nelle fasi di vita più avanzate. Si è creata una nuova fase della vita che si pone tra la fase adulta e prima di quella anziana. Questa situazione offre opportunità inedite alle nuove generazioni per valorizzare a pieno tutte le fasi di vita.

2- Impatto della componente straniera. Dal 1861 fino al 2011 la percentuale di forza lavoro è rimasta pressoché stabile; nella proiezione al 2051 vi è una riduzione accentuata della forza lavoro e lo sarebbe ancora di più senza il contributo lavorativo degli stranieri. Finora l’immigrazione è stata usata come leva politica elettorale, senza un’analisi consapevole dell’impatto socio-economico. Risulta evidente, nell’ambito della discussione politica attuale, che mancano gli elementi culturali e gli strumenti per poter analizzare e contestualizzare questo fenomeno.

3- Contributo dell’occupazione femminile. L’Italia è uno dei Paesi in Europa con il più basso tasso di occupazione femminile. Questo dato si intreccia con altri due dati particolarmente significativi: la bassa conciliazione lavoro-famiglia, e l’alta povertà educativa dei giovani e giovanissimi. Questa situazione risulta essere una tendenza storica in cui Paesi quali Spagna e Italia risultano ancora molto indietro nel miglioramento di questi indici rispetto agli altri Paesi europei.

4- Ruolo delle nuove generazioni. Nei prossimi 10 anni i 30-34enni di oggi diventeranno il centro della vita attiva del Paese riducendola significativamente rispetto alla situazione attuale; tale riduzione quantitativa deve essere compensata da una crescita qualitativa. Nei prossimi 10 anni è in gioco il futuro del Paese, in funzione al ruolo che i millenials ricopriranno. In questo però abbiamo un dramma sotto il livello qualitativo. L’Italia è il Paese con il numero più alto di giovani che non studiano, non lavorano e non cercano occupazione (neet). Questa generazione che avrà la responsabilità di essere al centro della vita attiva del Paese è quella che è stata più indebolita maggiormente. La percentuale di neet in Italia era già significativamente più alta rispetto alla media europea nel 2007 e ad oggi il divario invece di diminuire è addirittura cresciuto. Non vi è ad oggi una convergenza tra gli strumenti e le politiche attive del Paese. Questa criticità viene acuita dal fatto che in Italia vi sono meno giovani rispetto agli altri Paesi europei.

Il rischio evidenziato nel corso dell’intervento è che se non vengono messe in campo le giuste politiche, l’impoverimento qualitativo delle nuove generazioni si accentuerà. In un mondo sempre più globalizzato i talenti devono andare dove possono trovare un terreno fertile dove poter svilupparsi. Bisogna quindi impegnarsi collettivamente per rendere l’Italia un Paese fertile e attraente in grado di far crescere i propri giovani e divenire attrattivo.

Rosina quindi conclude con la necessità di lavorare su due direttrici per garantire prospettiva e speranza al sistema Paese: il tema culturale, per responsabilizzare le nuove generazioni nella creazione di valore, e la costruzione di un progetto di crescita e sviluppo per l’Italia che sia in grado di ricomprendere la prospettiva demografica. 

 

Come la pandemia ha amplificato le disuguaglianze di genere – Lella Palladino, Sociologa, Coop. EVA e Forum Diseguaglianze Diversità FDD

L’art. 3 è quello più disatteso della nostra Costituzione. Lo smart working, durante il lockdown, si è dimostrata un ulteriore tegola sulla testa delle donne”.

Lella Palladino – sociologa, Presidente della cooperativa sociale E.V.A. e parte del Forum Diseguaglianze e Diversità – ci ha parlato di Invisibilità. Molti sono convinti che la disparità di genere sia ormai cosa “quasi superata”, e che parlare di Invisibilità possa essere un’esagerazione. Ma è davvero così?

Il costo della crisi è stato pagato prevalentemente dalle donne. Nonostante le donne si siano ammalate di meno. Perché? Per via di una preesistente e trasversale disparità. Lella ci ha parlato in particolare di tre macro-aspetti.

1- Il mercato del lavoro

Qui si parla dei livelli di disoccupazione, di inspiegabile disparità salariale, e del limitato accesso delle donne a opportunità di carriera a livelli apicali. Emanuele – socio di Rena – ha per esempio citato i dati di uno studio McKinsey, che ha rilevato che nel mondo le donne rappresentano il 39% della forza lavoro e il 54% del totale dei lavori persi per il Covid. Per non parlare del Welfare: in Italia abbiamo un basso tasso sia di occupazione che di natalità. Si fa poco per consentire alle donne di diventare madri, a partire dai servizi per la prima infanzia.

2- Il lavoro di cura non retribuito

Diversi studi (e.g. Del Boca et al. 2020), hanno rilevato che, avendo le donne meno possibilità di carriera e venendo retribuite di meno, negli equilibri di coppia durante il lockdown sono diventate l’elemento debole su cui scaricare le responsabilità di cura di figli e familiari. Il tempo dedicato dalla donna alla cura dei figli sul totale del tempo dedicato dai partner è del 60% quando entrambi sono occupati, 75% quando la donna non è occupata.

3- La violenza maschile contro le donne

Le misure di distanziamento sociale, la coabitazione forzata, l’isolamento, hanno provocato un ulteriore incremento della violenza maschile. I centri antiviolenza e l’ISTAT hanno per esempio rilevato durante il lockdown un incremento del 73% delle segnalazioni telefoniche considerate “valide” rispetto allo stesso periodo del 2019. Infatti, nel 93% dei casi la violenza si consuma all’interno delle mura domestiche.

La Pandemia ha evidentemente esasperato ed evidenziato quello che emerge dalla Convenzione di Istanbul ma che stenta a far breccia nella percezione comune: «La violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione».

Immaginare la cura per contrastare le disuguaglianze di genere comporta un radicale cambio di prospettiva – ma i processi di trasformazione culturale sono lenti e richiedono tempo, condivisione, investimenti costanti. Per questo potrebbe essere strategica la partita intorno alle risorse del Recovery Fund, che se ben orientate potrebbe rappresentare un’opportunità senza precedenti per riequilibrare le disparità e contrastare le disuguaglianze. 

Lella Palladino propone una diversa educazione come unico modo per fare davvero la differenza. Ci ricorda che sin da bambini siamo esposti ad un mondo declinato al maschile. Basti pensare ai libri scolastici che mostrano ancora la madre che cucina la torta e il padre che lavora al computer. Per non parlare della lingua italiana, che quando facciamo riferimento a un gruppo di persone ci invita ad utilizzare il plurale maschile.

L’intervento si è concluso con un appello di Lella: bisogna raggiungere una maggiore consapevolezza sulla discriminazione, partire dalla Convenzione di Istanbul, ascoltare la parola delle donne. “Noi donne vogliamo poter dire che ce l’abbiamo fatta, che possiamo vivere una vita libere. Tra il silenzio e l’urlo scelgo la parola – dobbiamo riprenderci la parola, non chiediamo che ci venga data.” 

 

Le disuguaglianze territoriali e la possibilità di uno sviluppo umano – Alessia Zabatino, Forum Diseguaglianze Diversità FDD

Le identità di un territorio non si possono oggettivizzare. Bisogna ritrovare il senso comune, dello stare lì, dello stare insieme, del fare insieme”.

L’intervento di Alessia Zabatino del Forum Disuguaglianze e Diversità attualmente dottoranda presso IUAV, si accende sul definire un vocabolario comune a partire dalla sua esperienze all’interno del gruppo di lavoro sulla Strategia Nazionale Aree Interne guidato da Fabrizio Barca.

Vocabolario necessario anche a cogliere l’importanza che assume la SNAI per lo sviluppo di tante aree del nostro paese. 

La prima definizione che Zabatino condivide con l’aula è quella sul termine “disuguaglianze territoriali” come dimensione territoriale delle disuguaglianze economiche e sociali. Quando si utilizza il termine disuguaglianze territoriali si parla dei territori dove si manifestano queste disuguaglianze, dove si concentrano.

La seconda definizione è “politiche di sviluppo e coesione”. Si tratta di politiche nate in Europa con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze economiche e sociali tra i Paesi dell’Unione e all’interno dei singoli Paesi.
Dal 2013/2014 è iniziato un periodo importante per questo tipo di politiche, perché è cambiata la rappresentazione delle disuguaglianze territoriali. È accaduto come conseguenza di un cambio di prospettive grazie a cui le politiche di sviluppo e coesione si sono sempre più avvicinate alla realtà delle cose per rappresentare le disuguaglianze territoriali e dunque per capire quali azioni intraprendere per intervenire. Non è stato sempre così. 

Dobbiamo occuparcene perchè l’agenda di queste politiche determina la quasi totalità dei programmi, dei progetti, delle azioni sulle disuguaglianze territoriali che è possibile sostenere con risorse pubbliche a livello nazionale, regionale e locale e, allo stesso modo, incide anche sull’azione delle Fondazioni portando il dibattito pubblico su alcuni temi invece di altri, definendo quali regioni sono sviluppate e quali in ritardo di sviluppo, determinando quindi le aree di intervento delle fondazioni private, ma anche la percezione che una persona ha del luogo in cui vive e sui propri progetti di vita. 

Zabatino ha poi spiegato che sino al 2014 il PIL pro-capite regionale era la modalità con cui i paesi europei venivano classificati come sviluppati, in transizione o in ritardo di sviluppo. Nell’Accordo di Partenariato del 2014 – 2020, e nel nuovo Accordo in fase di definizione, disuguaglianze economiche e sociali hanno la stessa rilevanza: pil, tasso di disoccupazione, inclusione sociale, integrazione, gap di genere, livelli di apprendimento, quantità e qualità dei servizi. Le disuguaglianze territoriali non considerano più soltanto la dicotomia nord – sud, aree rurali – aree urbane, ma viene introdotta una nuova tipologia di disuguaglianza territoriale: aree interne e poli. Le aree interne si definiscono quindi come luoghi in cui le persone non hanno l’opportunità di vivere una vita degna, non hanno l’opportunità di scegliere la vita che vogliono vivere. L’unica scelta è quella di rimanere o andarsene. 

È da questa nuova impostazione che, grazie a Fabrizio Barca la Strategia per le Aree Interne in Italia si struttura attraverso un approccio place-based con la costituzione di istituzioni di tipo partecipativo e una governance multilivello dove amministrazione locale, regionale e nazionale condividono risorse e responsabilità e, gli abitanti dei territori, co-progettano beni e servizi essenziali (scuola, sanità, mobilità) e azioni per lo sviluppo economico. 

Si tratta di una politica di sviluppo che per la prima volta afferma l’urgenza di intervenire sui servizi che sono diritti di cittadinanza prima che sullo sviluppo economico, altrimenti le disuguaglianze territoriali non si risolvono.

Dietro questa impostazione c’è il pensiero di Amartya Sen, economista indiano, analista di politiche di sviluppo che ha teorizzato e praticato lo sviluppo umano. 
Sen dice che le politiche di sviluppo dovrebbero generare capabilities, un mix di possibilità, capacità e abilità per vivere una vita degna e che le politiche devono essere capaci di accompagnare questo sviluppo lavorando su 5 libertà strumentali:

  1. le libertà politiche come la possibilità di prendere parte attivamente alla vita politica
  2. le occasioni sociali come l’accesso a servizi essenziali 
  3. l’accesso a risorse economiche, reddito, credito
  4. garanzie di trasparenza contro la corruzione
  5. sicurezza protettiva dunque protezione sociale

Zabatino ha quindi raccontato di come il processo di co-progettazione con i cittadini attivato per la SNAI, era stato guidato da un forte mandato a destabilizzare l’equilibrio politico, sociale ed economico con l’obiettivo di far entrare i soggetti rilevanti, non solo quelli rappresentativi, e delegittimando coloro i quali avevano per troppo tempo abusato del potere di decisione su quei territori per non far cambiare mai niente. 

Nella chiusura è stato evidenziato ciò che ha funzionato e no nell’attuazione della SNAI, per elevarlo a paradigma di azioni che hanno la volontà di agire sulle disuguaglianze territoriali.
Alcune riflessioni che Alessia Zabatino ha voluto condividere con noi: 

  • È necessario destabilizzare, ma se questa azione arriva da un soggetto esterno che non vive il territorio per lungo periodo, si rischia di ottenere un emarginazione ancora più forte di coloro che si è voluto legittimare;
  • Se si innova la progettazione si deve innovare anche il processo di attuazione. L’attuazione della progettazione partecipata va presidiata al pari della fase di co-progettazione;
  • Ritrovare il senso, dello stare lì, dello stare insieme, del fare insieme. Senso che è diverso dall’identità di un territorio perché l’identità di un territorio non esiste. 
  • Le dinamiche complesse richiede soluzioni intersettoriali, non possiamo rimanere impostati su processi di intervento iper settoriali. 

 

Emergenza climatica e disuguaglianze – Annalisa Corrado, Green Italia

Per capire gli squilibri geopolitici, seguite il petrolio”

L’autrice de “Le ragazze salveranno il mondo” introduce il tema dell’emergenza climatica e diseguaglianze partendo dall’analisi delle fonti di produzione dell’energia grazie all’esempio della Crisi del Petrolio del 1973. In quella occasione è risultato evidente la pericolosità di un’economia basata sui combustibili fossili. Da questa riflessione nasce l’attenzione e la necessità di approfondire fonti alternative per la produzione di energia. A parità di investimento, oggi sappiamo che i posti di lavoro, la loro stabilità e la salubrità del territorio aumentano grazie ad un’economia green rispetto ad una basata sulle risorse fossili. Grazie ad una forte attenzione nei confronti dell’efficientamento energetico, questo tipo di produzione energetica può essere sufficiente a far funzionare l’intero sistema. Per quanto riguarda Il nucleare oggi è ancora una tecnologia che non si chiude mai, non sappiamo quanto costa perché tecnologicamente non sono state trovate soluzioni definitive.

La produzione di energia è cruciale nell’analisi delle diseguaglianze climatiche come emerso in maniera chiara e perentoria nell’Accordo di Parigi del 2015 sulla riduzione di emissione di gas serra e per l’armonizzazione dell’economia.

Nell’Accordo è stato introdotto il limite temporale del 2050 come la soglia per l’irreversibilità dei cambiamenti climatici. Se non si interviene per contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto della soglia di 2°C oltre i livelli pre-industriali, si innescheranno fenomeni irreversibili.

Nonostante questa evidenza, riconosciuta da tutta la comunità scientifica, non vi sono state ancora cambiamenti significativi nelle politiche attive di contrasto all’emissione. Una delle ragioni è che le diseguaglianze climatiche non agiscono allo stesso modo sulle persone, interessano soprattutto sugli ultimi, e colpiscono in maniera più dura alcune zone rispetto ad altre con effetti socio-economici molto rilevanti.

Nel caso in cui non si riuscirà ad invertire la tendenza l’Italia sarebbe profondamente colpita, intere zone scomparirebbero sotto il livello del mare, la vocazione agricola dei territori – che sta già subendo modifiche sostanziali – verrebbe stravolta. In un’ottica più globale intere aree del continente africano avrebbero condizioni ambientali irreversibili tali da spingere le popolazioni a spostarsi, alimentando così le spinte sovraniste e xenofobe che si stanno radicando nei Paesi del cosiddetto nord del mondo.

L’urgenza di agire presto è evidenziata dall’emergere di fenomeni anch’essi irreversibili che andrebbero ad accelerare il peggioramento delle condizioni climatiche quali ad esempio lo scongelamento del permafrost che andrebbe a liberare nell’atmosfera grosse quantità di metano, gas serra ancora più critico rispetto alla CO2. Un altro esempio è rappresentato dall’innalzamento della temperatura dell’acqua negli oceani che innescherebbe un meccanismo di acidificazione che non permetterebbe più lo scioglimento della CO2 scatenando un altro fenomeno di accelerazione del collasso climatico.

Ed emerge in maniera molto chiara la necessità di realizzare cambiamenti sistemici e non solo azioni puntuali, come è successo durante il lockdown che nonostante 3 mesi di blocco quasi totale non ha avuto conseguenze reali dal punto di vista climatico.

Da questo punto di vista il concetto della resilienza diviene fondamentale. Le nostre città devono essere resilienti. La città di 15 minuti, in cui tutti i servizi sono di prossimità è possibile e in alcune zone già una realtà. Questo permette di creare una visione e una narrativa diversa che funga da innesco di una nuova consapevolezza e coscienza.

Il sistema deve cambiare completamente, sostituire le macchine a combustione con quelle elettriche non è la soluzione. Si tratta di cambiare il problema. Per questo bisogna agire sulle città, la mobilità e il trasporto delle merci, e per farlo è necessario un intervento forte da parte della politica, nazionale e internazionale. Si può agire sugli stili di vita ma questo non è sufficiente.

Per questa ragione il punto di partenza sono scelte e dinamiche di innesco sociali e culturali dopodichè è necessario che sia la politica a cambiare. Se questo non succede l’unica opportunità è la mobilitazione e il coinvolgimento della popolazione. Deve essere una lotta di tutti e tutte, che sia intergenerazionale.

Ci vuole cultura per riuscire a portare questo tipo di cambiamento perché parlare di ambiente è complesso. Per questo risulta fondamentale l’approfondimento e la creazione di una bibliografia di riferimento che possa essere guida e supporto per gli attivisti e all’interno del dibattito pubblico.

 

The role of diversity in shaping the future: a voice from the US – Tracie Hall, Executive Director American Library Association 

“The only way to progress is through relationship building”.

Dopo il fortunato intervento dello scorso anno, Tracie Hall ritorna ispirarci con tutta la sua energia, raccontandoci le enormi contraddizioni che sta vivendo l’America in questo momento. Tracie si affida allo sguardo degli artisti per descrivere la situazione e apre il suo intervento con un video che racconta un progetto di Tanika Johnson sulla segregazione urbana a Chicago, una delle città a più alta segregazione in termini economici degli Stati Uniti. 

Tanika ha lavorato applicando il principio dei “map twins”, la comparazione diretta di 2 nuclei familiari che abitano in zone vicine geograficamente ma a diversa realtà sociale. Il progetto era cominciato nel 2017 come una semplice comparazione tra diverse realtà abitative, ma si è trasformato ben presto in un progetto sulle persone. In un momento in cui il conflitto è alto e le comunità sono sempre più divise, è la produzione culturale a evidenziare in modo chiaro le disuguaglianze e a parlare di segregazione a livello dei singoli individui.

Tracie pone l’accento sulla crescente difficoltà che incontra chi si occupa di disuguaglianze:  una recente risoluzione governativa proibisce a qualsiasi organizzazione che si occupi di razzismo o giustizia sociale di ricevere denaro federale e il tentato rapimento della Governatrice del Michigan che ha portato a 13 arresti è un chiaro sintomo delle ideologie che si stanno diffondendo nel Paese in questo periodo delicato di campagna elettorale: uno spaccato del sentiment della comunità Afroamericana, e non solo, emerge chiaramente dal video: “What would it take to vote for Trump”.

Anche qui un esempio di come gli artisti stanno rispondendo alla campagna elettorale e alle policy promulgate dal Governo. 

“The future is unknowable”

Il ridimensionamento del sistema postale per evitare il voto per posta, in tempi di Covid 19, rende completamente imprevedibile il risultato delle elezioni presidenziali di novembre. Chi si occupa di ineguaglianze non può ignorare politiche che tendano ad escludere le persone dall’esercitare il proprio voto.

“The cost of being out of the loop”

L’ultima parte dell’intervento si concentra sui costi legati al disinvestimento sulla cultura e sul ruolo fondamentale delle biblioteche per combattere l’information poverty. L’accesso all’informazione in fin dei conti risulta un problema di giustizia sociale e di salute pubblica, con una correlazione diretta tra l’iniquità in termini di salute e l’accesso ad informazioni di qualità. Molto spesso le sole informazioni che le persone hanno sono su internet, a quel punto il problema diventano anche l’information pollution e le fake news. 

Tracie conclude invitando la platea a riflettere seriamente sui propri privilegi e a domandarsi che azione possiamo intraprendere su questo. Le manderemo l’esito della survey, intanto per un momento ci concediamo il sogno di fondare un giorno ARENA –  American RENA – insieme all’energica Tracie, come suggerito da Tommaso Goisis in chiusura.

Gli studenti hanno poi continuato le attività di workshop iniziate con Social Seed nella giornata precedente, con un focus sul come costruire un’utopia, utilizzando un toolkit per disegnare scenari e narrative.

Il potenziale trasformativo della cooperazione dopo la pandemia – Andrea Rapisardi, Agenzia LAMA

Sono un cooperatore convinto. Per me il virus è il modello di sviluppo attuale, basato su individualismo e crescita del capitale. Il contrario di questo è un modello basato sull’interesse generale e sulla sostenibilità”.

La giornata si conclude con una chiacchierata sulle cooperative come strumento mutualistico per immaginare la cura con Andrea Rapisardi – socio e Presidente dell’Agenzia Lama.

Siamo partiti dalle origini in Inghilterra, dove a Rochdale nel 1844 dei cittadini decidono di mettersi insieme per rispondere ai bisogni alimentari della popolazione locale. E’ la prima esperienza di cooperativa, nata per riscatto sociale. Lo scopo di questo tipo d’impresa non è di remunerare il più possibile il capitale, ma remunerare il più possibile il lavoro. Sono organismi democratici che nel tempo si sono evoluti e hanno toccato i più diversi settori. 

Il nostro percorso con Andrea ci ha portati fino ai giorni nostri, parlando in particolare di due tipologie di cooperative che guardano al futuro. Le Cooperative di Comunità e le Piattaforme Cooperative. 

Le prime nascono in quei paesi delle aree interne che sono soggette a spopolamento. Alcune di queste, a un certo punto, vivono uno shock che le manda al tappeto: la chiusura dell’ultimo centro di aggregazione, dell’ultimo centro medico… E, di nuovo per riscatto sociale, le persone si mettono insieme per mantenere in piedi quella realtà. Queste cooperative – che oggi si stanno avvicinando anche agli ambienti urbani – raggruppano la cittadinanza attorno a degli obiettivi comuni. Riattivano degli asset dormienti attraverso circuiti economici che valorizzano il territorio e creano dei posti di lavoro.

L’altra frontiera è rappresentata dalle esplorazioni di Trebor Scholz, convinto che il nostro modello di sviluppo accentua le disuguaglianze. Come redistribuire la ricchezza e ridurre il divario? Attraverso le Piattaforme Cooperative: servizi digitali condivisi in cui gli utenti non sono semplicemente fruitori ma i proprietari stessi della piattaforma.

Andrea non ha nascosto che anche le cooperative possono avere i loro lati difficili, come il ricambio generazionale o la scarsa possibilità di muoversi con flessibilità laddove le strutture organizzative sono complesse. Ma in un mondo in cui la polarizzazione della ricchezza è sempre più evidente, lo strumento della cooperativa può essere una strada di riscatto e di riduzione delle disuguaglianze.

 

Il primo giorno della decima edizione della Scuola si conclude qui. Qui trovate tutte le foto della giornata.
Questo articolo è un lavoro di intelligenza collettiva di Luca Cantelli, Giulia Paciello e Matteo Cadeddu.