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Luca, ci riassumi in poche battute il tuo brillante percorso professionale e qual è il tuo campo d’interesse?
Dopo la Laurea nel 1996 e il Dottorato nel 2000 in Medicina all’Università di Padova, ho intrapreso una carriera nel campo della ricerca. Sono partito per gli USA, dove nel laboratorio di Stan Korsmeyer, a Harvard, mi sono interessato a studiare i mitocondri e i meccanismi cellulari della morte cellulare [//]”programmata” detta anche apoptosi, un affascinante sistema con il quale le cellule danneggiate decidono di autodistruggersi. Stan Korsmeyer è stato lo scienziato più brillante che abbia mai incontrato e un ottimo mentore, dico “è stato” perchè purtroppo è scomparso recentemente e prematuramente per una malattia incurabile. Io e molti colleghi sosteniamo che avrebbe vinto il Nobel se fosse vissuto più a lungo, per l’impatto dei suoi studi e delle sue scoperte. L’apoptosi meccanismo é presente nel nostro corpo ed è fondamentale durante lo sviluppo embrionale, e anche nella vita adulta. Inoltre ha un grande impatto in patologie quali il cancro, il diabete e le malattie neurodegenerative. Nel 2003 sono tornato a Padova, grazie alla Fondazione Telethon, che mi ha offerto una position di Assistant Scientist, in pratica dandomi fondi sufficienti per poter continuare la mia ricerca come ricercatore indipendenti e per pagare dei collaboratori in laboratorio. A Padova il mio team ha fatto diverse scoperte sui mitocondri e ci siamo tolti delle soddisfazioni pubblicando questi risultati su una rivista di punta nel nostro settore, “Cell”. Lo scorso anno, ho accettato una posizione di Professore Ordinario all’Università di Ginevra, in Svizzera, dove ho trasferito una parte del mio staff e del lavoro. Attualmente faccio la spola tra Padova e Ginevra e gestisco due team di ricerca in stretta collaborazione.
Quali sono a tuo parere le doti personali che servono per eccellere nel campo della ricerca medica?
Una grande motivazione, una “fibra” robusta e passione per quello che si fa. Bisogna avere il fegato di testare ipotesi difficili da verificare sperimentalmente e non bisogna avere paura di sacrificarsi e di passare tante ore in laboratorio. La vita del ricercatore in medicina è particolare, non si stacca mai la spina del tutto, e si riflette ai problemi da risolvere tipicamente in qualsiasi momento della giornata, anche a casa. Un altro elemento importante di responsabilità è dato dalle aspettative che la gente e gli enti che ci finanziano esercitano su di noi, a buona ragione, perché spesso le nostre ricerche riguardano anche malattie rare e incurabili. D’altro canto le soddisfazioni personali che ripagano i sacrifici fatti sono enormi.
Cosa pensi della “fuga dei cervelli” dall’Italia?

In sé non lo vedo come un problema, perché la mobilità dei ricercatori al di là dei confini nazionali è una cosa positiva, sia a livello individuale, per la crescita professionale dei ricercatori, sia a livello della comunità, semmai i ragazzi e le ragazze che sono espatriati/e un giorno decidano di tornare in Italia a portare il know-how acquisito. Il vero problema è che l’emigrazione dei nostri cervelli fuori dall’Italia non è accompagnato da un analogo movimento di immigrazione di cervelli stranieri nel nostro paese. Questo sta impoverendo le risorse intellettuali dell’Italia, le nostre università formano benissimo i giovani, ma poi questi giovani portano le lore energie e leloro competenze per rinforzare il tessuto scientifico e produttivo di altri paesi. Ci vuole una politica radicale, che cambi il sistema di recrutamento universitario, dominato dai baronati e dai nepotismi, e alzi gli stipendi e le risorse destinate alla ricerca. Finora nessun governo, né di destra né di sinistra, se n’é occupato seriamente.
La Fondazione Telethon è una realtà di eccellenza scientifica ormai consolidata in Italia nel campo della ricerca genetica e medica, che finanzia il rientro dall’estero di tanti bravi ricercatori italiani, come te, e l’avanzamento delle conoscenze in molte malattie rare e incurabili. Quale pensi sia il futuro della Fondazione, andrà verso un’espansione o si attesterà sulle dimensioni attuali?
Telethon ha svolto un ruolo importante negli ultimi anni nel migliorare il livello della ricerca bio-medica in Italia. In particolare, dall’introduzione nel 2002 dell’Istituto Telethon virtuale intitolato al nostro premio Nobel Renato Dulbecco, ha permesso il rientro di alcuni dei nostri ricercatori brillanti all’estero, come hai detto, e li ha messi nelle condizioni di lavorare bene e essere competitivi a livello internazionale nelle Università italiane dove si accordano per iniziare la loro attività di ricerca. A livello di budget disponibile e di mezzi che può fornire alla ricerca, grazie alle donazioni della gente che sono anno dopo anno più ingenti, Telethon é in piccola ma costante ascesa.
I ricercatori Telethon sono spesso (e per lo più) ospitati nelle strutture preesistenti delle Università Italiane. Come vedi le interazioni tra Telethon e gli Atenei italiani in termini amministrativi e scientifici?

In termini amministrativi le università italiane sono ben contente di ospitare dei ricercatori che vengono a lavorare con fondi propri, non gravando sul bilancio dell’Ateneo. Scientificamente si sono spesso venute a creare delle collaborazioni stimolanti tra i ricercatori Telethon e i ricercatori locali, che spesso sono molto bravi e brillanti, ma limitati nelle risorse disponibili per la loro ricerca. Il vero, grande problema che sta nascendo è l’integrazione dei ricercatori Telethon rientrati negli atenei italiani. Telethon stipula contratti di 5 anni rinnovabili, ma a lungo andare i ricercatori devono essere integrati in una forma o nell’altra dalle università. Come ben sappiamo, le Università italiane non dispongono di molti mezzi e finanziamenti, e alla lunga questo sta saturando il sistema, nel senso che i ricercatori che non riescono a integrarsi cercano di ri-espatriare, e Telethon in previsione di questo sta diminuendo le neo-assunzioni.
Tu hai conosciuto diversi “sistemi” ricerca : quello americano, quello italiano con Telethon e, più recentemente, quello svizzero. Complessivamente, e con le dovute proporzioni, quale apprezzi di più e perchè?
E’ tutta una questione di comprendere l’importanza strategica della ricerca bio-medica per la comunità e della quantità di fondi stanziati dal governo. In America, questo si è capito da anni, col sistema degli NIH (National Institute of Healths) e i finanziamenti alla ricerca costuiscono una voce imprescindibile dei bilanci stanziati dalle amministrazioni in carica. Il sistema universitario è trasparente, efficiente e produttivo, ci sono diversi centri di eccellenza mondiali, come Harvard o Yale. In generale il sistema americano è basato sulla meritocrazia e sulla competizione. L’altra faccia della medaglia e che la competizione puo’ essere spietata, a scapito della stabilità dei posti lavoro. Telethon in Italia ha stabilito un sistema di trasparenza dei finanziamenti e di meritocrazia assimilabile a quello americano, ma Telethon è una charity e non si puo’ sostituire al sistema della ricerca pubblico in Italia, che resta in un gradino piu’ basso nella competizione internazionale. La Svizzera è una realtà a sé stante in tutta Europa, è un piccolo paese molto ricco, e tradizionalmente il governo federale finanzia i programmi educativi e di ricerca con risorse finanziarie e infrastrutture enormi. Le università svizzere e i politecnici piu’ importanti, a Ginevra, Losanna, Zurigo attirano scienziati e ricercatori da tutti i paesi europei e anche da oltreoceano, per la qualità della vità e delle condizioni di lavoro. Questo ha attirato anche me, e le premesse per poter realizzare i miei progetti a Ginevra ci sono tutte.
Parliamo un po’ di scienza. Craig Venter, discusso e immaginifico imprenditore delle biotecnologie americano, famoso per essere stato il primo a sequenziare il genoma umano qualche anno fa, ha annunciato da poco la creazione del genoma del primo organismo interamente artificiale, nella fattispecie un batterio, battezzato Mycoplasma Laboratorium. Quale pensi possono essere le ricadute in ambito scientifico e sociale di questa innovazione?
Craig Venter è un personaggio che fa molto discutere. La sua è una conquista della conoscenza importantissima, potremo ottenere batteri e microrganismi utili. Per esempio capaci di digerire sostanze tossiche e veleni o in grado di pulire il mare dal petrolio. Di questa scoperta non si deve avere paura. Non è il primo passo per creare un Frankestein o un’umanità in laboratorio. Noi scienziati lavoriamo per capire la natura e i suoi segreti.
Da quale settore della ricerca biomedica di oggi pensi che ci possiamo aspettare delle scoperte che possano avere un impatto immediato nella vita di tutti noi?
Sicuramente dalle cellule staminali e dalle loro potenzialità nel riparare i tessuti danneggiati in stati patologici. Questo però deve fare i conti, soprattutto nelle società a matrice cristiana, con i problemi etici derivanti per esempio dall’uso delle cellule embrionali staminali umane. Un altro campo dal quale io mi aspetto delle buone sorprese a breve termine è la ricerca su un vaccino per l’HIV, molto promettente e dove l’Italia sta dicendo la sua.
Quale suggerimento daresti a un giovane ricercatore agli inizi della sua carriera?
Sii coraggioso e sfrontato e non esitare a cambiare città o paese per inseguire il tuo sogno e la tua idea di scienza.
Grazie, Luca.
Grazie a te.

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